PNRR e Sistema Produttivo. Digitalizzazione e Innovazione per il rilancio dell’Economia Italiana

La pandemia da Covid 19 è sopraggiunta in un momento storico in cui l’Italia già viveva una fase di maggiore difficoltà economica rispetto ad altri Paesi europei. La crisi, infatti, si è abbattuta su un Paese già fragile dal punto di vista economico, sociale ed ambientale: tra il 1999 e il 2019 il PIL italiano è cresciuto del 7.9%, mentre nello stesso periodo Paesi come la Francia e la Germania hanno registrato crescite rispettivamente del 32.4% e del 30.2%. A conferma dell’evidente stato di crisi dell’economia italiana negli ultimi 20 anni, si consideri che tra il 2005 e il 2019 la percentuale di popolazione sotto la soglia minima di povertà è salita dal 3.3% al 7.7%, per poi crescere vertiginosamente nel corso del 2020, raggiungendo il 9.4%.

Dietro le evidenti difficoltà dell’Italia nel tenere il passo rispetto alle più avanzate economie europee, al di là di marcati squilibri macroeconomici (classificati come “eccessivi” in base ai criteri dalla Procedura sugli squilibri macroeconomici), vi è senza dubbio l’andamento della produttività, che procede ad un passo nettamente più lento rispetto al resto d’Europa. Basti considerare che tra il 1999 e il 2019, in Italia, la produttività totale dei fattori, importante indicatore dell’efficienza complessiva di un’economia, è scesa, a fronte di un generale aumento nell’area Euro. Tale ritardo si spiega sulla base di una sostanziale incapacità delle imprese italiane nel cogliere le opportunità offerte dalla rivoluzione digitale. Ciò si deve in parte alla mancanza di infrastrutture necessarie a sostenere una maggiore digitalizzazione e in parte alla conformazione del sistema produttivo nel suo complesso, caratterizzato da una forte presenza di piccole e medie imprese, che spesso dispongono di ridotte capacità di investimento o faticano nel cogliere i vantaggi che la digitalizzazione dei processi produttivi potrebbe garantire loro.

Proprio per questi motivi il PNRR si propone di destinare 23.89 miliardi alla digitalizzazione e all’innovazione del sistema produttivo. Tra questi, 13.38 miliardi saranno destinati alla Transizione 4.0, 6.71 miliardi alla realizzazione di infrastrutture per connessioni in fibra ottica 5G e 1.95 miliardi a politiche industriali di filiera. Con questi fondi si intende rafforzare la competitività del nostro sistema produttivo, raggiungendo un più elevato livello di digitalizzazione e puntando sull’innovazione e sull’internazionalizzazione.

Per raggiungere tale obiettivo sarà necessario riuscire a colmare, almeno parzialmente, il Gap di Digital Intensity che connota l’Italia a confronto con il resto d’Europa. Per farlo, occorrerà favorire la transizione digitale e l’innovazione del sistema produttivo, incentivando gli investimenti in tecnologie avanzate e ricerca. Si agirà, quindi, a favore delle Piccole e Medie Imprese, sostenendone la ripresa e la crescita in quanto elementi fondanti del tessuto produttivo italiano. Esse, infatti, rappresentano circa l’80% della forza lavoro e il 70% del valore aggiunto industriale italiano. Tuttavia, la frammentazione di un sistema produttivo così costituito e le ridotte dimensioni di queste imprese determinano problemi di competitività difficilmente arginabili, specialmente in settori in cui sono indispensabili le economie di scala e una notevole capacità di investimento. In più, si tratta della tipologia di impresa su cui la crisi da Covid-19 ha indotto maggiori tensioni di tipo patrimoniale e finanziario.

Il PNRR intende rispondere a queste problematiche attuando il programma di Transizione 4.0, un’evoluzione del piano Industria 4.0 varato nel 2017. Rispetto alla prima formulazione, tuttavia, sono state introdotte alcune fondamentali modifiche. Innanzitutto, è stato ampliato il novero di imprese potenzialmente beneficiarie, grazie alla creazione di appositi crediti fiscali, di entità variabile in base all’ammontare dell’investimento e compensabili con altri debiti fiscali e contributivi. Inoltre, si è optato per il riconoscimento del credito non su base annuale, bensì biennale, cosa che consentirà alle imprese di programmare con maggiore facilità i propri investimenti. Infine, è stata aumentata l’estensione degli investimenti immateriali agevolabili ed è stato varato un aumento del credito e dell’ammontare massimo degli investimenti incentivabili. Tutto questo per compensare l’incertezza del quadro macroeconomico post pandemico e per sostenere e incentivare le imprese che investono nella digitalizzazione dei loro processi produttivi. Questo tipo di misure, inoltre, dovrebbe comportare un aumento di produttività ed efficienza tali da avere, nel medio-lungo periodo, ricadute positive sull’occupazione, soprattutto giovanile e delle nuove professioni.

Nello specifico, è stato stabilito che verranno riconosciute tre diverse tipologie di crediti di imposta per chi investe in:
• Beni capitali
• Ricerca, sviluppo e innovazione
• Formazione alla digitalizzazione e sviluppo delle relative competenze

Oltre agli interventi di credito di imposta menzionati, verranno adottate ulteriori misure al fine di sviluppare un modello di riqualificazione manageriale rivolto soprattutto alle PMI e verranno avviati progetti per garantire un’adeguata formazione ai dipendenti attraverso specifici programmi di training cui sarà possibile ricorrere con flessibilità, per esempio durante i periodi di cassa integrazione. Infine, sono previsti contributi per la costruzione e l’acquisto di macchinari, impianti e attrezzature per produzioni all’avanguardia, specialmente in settori ad alto contenuto tecnologico, come quello delle tecnologie satellitari e, in generale, dello spazio, che inizia ora a svolgere un ruolo di attività strategica a livello di sviluppo economico.

Perché questo piano sia pienamente efficace, tuttavia, esso deve essere accostato allo sviluppo di infrastrutture di reti fisse e mobili ad elevatissima capacità. Le tecnologie 4.0, infatti, necessitano di collegamenti veloci, che ne permettano il pieno funzionamento e la massima resa. Da questo punto di vista, è importante per l’Italia intervenire tempestivamente, al fine di ridurre il gap di connettività che connota il nostro paese rispetto alla media europea. L’indice DESI, infatti, classifica l’Italia al diciassettesimo posto su 28 per la copertura delle famiglie con reti ultraveloci (24% contro una media UE del 60%), cosa che ha comportato notevoli problematiche nel corso dell’ultimo anno sia in termini di didattica a distanza che di lavoro da casa. La strategia europea di Digital Compass stabilisce che entro il 2030 si raggiunga la piena copertura 5G e una connettività a 1 Gbps (1 Gigabit per secondo) per tutti nelle aree popolate, ma il PNRR si pone l’ambizioso obiettivo di anticipare i tempi, portando le connessioni a 1 Gbps su tutto il territorio entro il 2026. Il piano prevede di raggiungere anche 450.000 unità immobiliari isolate, le cosiddette case sparse, non previste nei piani di intervento pubblico precedenti. Inoltre, si intende completare il piano “Scuola Connessa”, in modo da assicurare una connessione a 1 Gbps anche ai 9.000 edifici rimanenti, che corrispondono circa al 20% del totale. Infine, si assicurerà una connettività adeguata anche agli oltre 12.000 punti di erogazione del Servizio Sanitario Nazionale che ne sono ancora sprovvisti, contribuendo così al completamento del piano “Sanità Connessa”.

Nel PNRR, infine, si accenna ad una riforma del sistema della proprietà industriale, che assicura un vantaggio competitivo a chi genera idee e processi innovativi. La riforma, in particolare, definirà una strategia pluriennale per la proprietà industriale, al fine di conferire valore all’innovazione e incentivare gli investimenti in ricerca applicata. Intellettuali e politici hanno collaborato al PNRR per definire i traguardi da perseguire, ma cominciano ora a diffondersi i primi dubbi circa l’effettiva realizzabilità del medesimo. L’attuazione del PNRR, infatti, rischia di procedere lentamente a causa della carenza e della difficoltà nell’identificazione dei soggetti che dovranno occuparsene. La soluzione di far fluire la responsabilità attraverso canali istituzionali discendenti, infatti, non convince, perché ha spesso dimostrato la sua inefficienza, come nel caso delle importanti dispersioni del Fondo Sociale Europeo. Si ricorre, allora, in molti casi, allo strumento del bando, strategia che spesso mira a difendere chi non vuole esercitare la discrezionalità delle scelte per proteggersi in caso di eventuali fallimenti. Tuttavia, i soggetti privati che vengono incaricati attraverso questo strumento spesso si rivelano poi inadatti a completare i progetti assegnatigli, perché non dispongono delle capacità organizzative e finanziarie necessarie ad elaborare proposte applicative precise. Se da un lato, quindi, non possono essere avanzati dubbi circa l’alta aspirazione innovativa di questo piano, dall’altro iniziano ad emergere i primi timori per un fallimento attuativo. Sarà questa l’occasione per l’Italia di dimostrare a sé stessa e all’Europa una ritrovata capacità di organizzazione e gestione interna, nonché l’intenzione e la rinnovata attitudine ad occupare un ruolo centrale a livello europeo, economicamente e politicamente.

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