Dal modello matematico a quello comportamentale.

Breve storia del rapporto tra Game Theory ed etica

 

L’espressione Teoria dei Giochi costituisce l’etichetta al di sotto della quale vengono ricondotti differenti modelli matematici, sviluppati in ambito anglosassone a partire dalla metà del Novecento, in grado di descrivere il comportamento di molteplici agenti (i players) all’interno di un dato contesto. A distanza di pochi anni dalla sua nascita, questa nuova diramazione delle cosiddette Hard Sciences riuscì ad intercettare l’interesse anche degli studiosi di etica, specialmente di formazione analitica. Costoro ritennero infatti che il rigore della modellizzazione matematica potesse rappresentare un efficace strumento euristico per i dilemmi etici, vista la sua capacità di descrivere, e finanche prevedere, il comportamento (per l’appunto l’ethos) dei soggetti umani.

Durante la seconda metà del Secolo sorsero alcune scuole di pensiero, ciascuna delle quali rivisitò il rapporto tra etica e teoria dei giochi in modo autonomo. Più nel dettaglio gli studiosi si avviarono lungo tre principali strade, la prima fu la «teoria funzionalista dei giochi», la seconda la «teoria contrattualistica dei giochi», ed infine la terza venne definita «teoria evoluzionistica dei giochi». Ciascuna di queste ebbe come scopo quello di scandagliare l’infinito spettro delle condotte umane, sfruttando l’ibridazione tra i concetti in uso nella tradizione filosofica e i nuovi assunti matematici della Game Theory. L’espressione Teoria dei Giochi costituisce l’etichetta al di sotto della quale vengono ricondotti differenti modelli matematici, sviluppati in ambito anglosassone a partire dalla metà del Novecento, in grado di descrivere il comportamento di molteplici agenti (i players) all’interno di un dato contesto. A distanza di pochi anni dalla sua nascita, questa nuova diramazione delle cosiddette Hard Sciences riuscì ad intercettare l’interesse anche degli studiosi di etica, specialmente di formazione analitica. Costoro ritennero infatti che il rigore della modellizzazione matematica potesse rappresentare un efficace strumento euristico per i dilemmi etici, vista la sua capacità di descrivere, e finanche prevedere, il comportamento (per l’appunto l’ethos) dei soggetti umani.

La teoria funzionalista venne così appellata dal momento che scelse di approfondire la funzione della moralità entro le dinamiche di collaborazione tra gli individui. Nella fattispecie essa affermò che lo scopo del comportamento morale è quello di «impedire il fallimento della razionalità» qualora gli individui si trovino in situazioni critiche di cooperazione, come ad esempio quella descritta dal dilemma del prigioniero, ossia uno dei modelli più celebri in ambito di teoria dei giochi. Il funzionalismo si curò inoltre di indagare specialmente le istituzioni che nelle società umane sono preposte al coordinamento dei rapporti tra i singoli, come per esempio lo Stato o i sistemi giuridici, le quali svolgono la funzione di indirizzare strategicamente il risultato delle interazioni.

Un primo limite che emerge dalla teoria funzionalista dei giochi è che essa si colloca ad un livello meramente descrittivo, e non risponde alla domanda né sull’origine delle inclinazioni morali né sul perché di fatto un individuo sia portato a comportarsi in modo virtuoso.

Essa infatti non stabilisce il legame tra la scelta razionale del soggetto, la sua propensione all’essere morale, e la sussistenza delle istituzioni e delle norme moralmente connotate. In secondo luogo i funzionalisti ritengono – in modo cinico, stando al giudizio negativo di alcuni contestatori – che il concetto di moralità filosoficamente connotato, e di conseguenza le disposizioni etiche che da essa prendono avvio, non debba essere accolto come un prodotto delle buone qualità intellettive e spirituali della nostra specie, al contrario essi affermano che esso costituisca un mero strumento di conseguimento del miglior risultato individuale in contesti aporetici.

Una seconda via fu intrapresa dagli studiosi di etica e teoria dei giochi all’insegna della rivisitazione del classico contrattualismo filosofico. Un importante riferimento ideologico di questa seconda branca fu l’opera di Thomas Hobbes (1588-1679), il quale in epoca moderna ipotizzò che la nascita dei consessi umani fosse determinata dalla scelta degli uomini nello stato di natura di rinunciare ad ogni libertà e di rimetterla ad un unico sovrano al fine di vedere garantite la propria incolumità e sopravvivenza. Nel secondo Novecento, sotto la spinta del filosofo canadese David Gauthier, si fece strada la branca cosiddetta neo-hobbesiana dell’etica, la quale innestò i modelli comportamentali descritti dalla teoria dei giochi all’interno della propria matrice filosofica. Stando a questa sfumatura del contrattualismo la moralità umana costituisce il prodotto finale scaturente al termine di un processo di negoziazione.

La teoria contrattualistica dei giochi postula come assunto di partenza per la costruzione dei propri modelli che degli agenti ideali siano inizialmente situati su posizioni antitetiche, le quali trovano una risoluzione nella cosiddetta area di contrattazione, che si colloca esattamente a metà tra le istanze opposte. Da questa sintesi si presuppone infine che emerga un accordo, il quale verrà rispettato da tutte le parti e che prende il nome di «norma morale», la quale a sua volta condizionerà il comportamento delle persone. In aggiunta, tale intesa è detta essere stabilita in virtù della piena razionalità degli agenti responsabili dell’emergere della norma. I modelli matematici rappresentano agli occhi dei contrattualisti il più rigoroso ed efficace modo di presentazione dei processi generativi della moralità ed dell’eticità tra gli uomini.

L’unione tra contrattualismo e teoria dei giochi, per quanto affascinante dal punto di vista accademico, possiede tuttavia il proprio limite nella natura squisitamente teorica della proposta che avanza. Infatti, come descritto da Gauthier nel saggio Morals by Agreement (1986), questa corrente è convinta che vi sia una soluzione sia razionale sia condivisa, nonché sempre condivisibile, per tutte le circostanze di interazione. Essa espunge l’ipotesi che talvolta possano verificarsi situazioni complesse, in cui non è scontato pervenire ad un verdetto, che abbia oltretutto valore universale e sia unilateralmente valido.Una seconda via fu intrapresa dagli studiosi di etica e teoria dei giochi all’insegna della rivisitazione del classico contrattualismo filosofico. Un importante riferimento ideologico di questa seconda branca fu l’opera di Thomas Hobbes (1588-1679), il quale in epoca moderna ipotizzò che la nascita dei consessi umani fosse determinata dalla scelta degli uomini nello stato di natura di rinunciare ad ogni libertà e di rimetterla ad un unico sovrano al fine di vedere garantite la propria incolumità e sopravvivenza.

Nel secondo Novecento, sotto la spinta del filosofo canadese David Gauthier, si fece strada la branca cosiddetta neo-hobbesiana dell’etica, la quale innestò i modelli comportamentali descritti dalla teoria dei giochi all’interno della propria matrice filosofica. Stando a questa sfumatura del contrattualismo la moralità umana costituisce il prodotto finale scaturente al termine di un processo di negoziazione. La teoria contrattualistica dei giochi postula come assunto di partenza per la costruzione dei propri modelli che degli agenti ideali siano inizialmente situati su posizioni antitetiche, le quali trovano una risoluzione nella cosiddetta area di contrattazione, che si colloca esattamente a metà tra le istanze opposte. Da questa sintesi si presuppone infine che emerga un accordo, il quale verrà rispettato da tutte le parti e che prende il nome di «norma morale», la quale a sua volta condizionerà il comportamento delle persone. In aggiunta, tale intesa è detta essere stabilita in virtù della piena razionalità degli agenti responsabili dell’emergere della norma. I modelli matematici rappresentano agli occhi dei contrattualisti il più rigoroso ed efficace modo di presentazione dei processi generativi della moralità ed dell’eticità tra gli uomini.

L’approccio assiomatico così descritto, per di più, non rende conto né della struttura del processo di contrattazione né fornisce elementi chiarificatori riguardo ai vantaggi che  da esso le parti in causa otterrebbero. Esso si configura piuttosto come un suggerimento speculativo ed idealizzato intorno all’emergere della moralità dalla costola della razionalità applicata alle dinamiche sociali.

Infine, il rapporto tra teoria dei giochi e questioni etico-morali ha trovato una terza diramazione nella teoria evoluzionistica dei giochi. Alcuni studiosi ritengono che quest’ultima doni la soluzione migliore e più equilibrata alle aporie che sorgono in seno alle altre due varianti. Infatti la teoria evoluzionistica dei giochi sostiene in prima istanza che la moralità non sia stata collocata dall’alto all’interno delle società umane. Al contrario essa afferma che le norme di comportamento non siano altro che il naturale esito delle interazioni tra le persone. In altri termini, le leggi morali e le questioni etiche ad esse sottostanti sarebbero il frutto non intenzionale coltivato da coloro che hanno contribuito con il tempo agli sviluppi della società. Le leggi morali sarebbero così divenute tali in un secondo momento, a seguito della loro sedimentazione nei costumi dei popoli. In tale asseto teorico il modello matematico del gioco è ritenuto da un lato essere in grado di descrivere il confronto tra dei soggetti razionali, dall’altro lato tuttavia non pretende di qualificare come universali i risultati di queste interazioni.

In maniera più coerente con le classiche teorie evoluzionistiche, gli studiosi che accolgono questa diramazione associano il concetto di norma morale alla nozione di habitus, o disposizione etica, acquisito culturalmente ed empiricamente. Gli «schemi di comportamento» sono divenuti cogenti in virtù della loro reiterata buona riuscita in diversi luoghi e circostante. Infatti, come le specie permangono selezionando il numero di individui, insieme a talune ristrette caratteristiche, utili ed adatti alla sopravvivenza, così nei contesti relazionali vengono selezionate e trasmesse le strategie di gioco più vantaggiose.nfine, il rapporto tra teoria dei giochi e questioni etico-morali ha trovato una terza diramazione nella teoria evoluzionistica dei giochi. Alcuni studiosi ritengono che quest’ultima doni la soluzione migliore e più equilibrata alle aporie che sorgono in seno alle altre due varianti.

Infatti la teoria evoluzionistica dei giochi sostiene in prima istanza che la moralità non sia stata collocata dall’alto all’interno delle società umane. Al contrario essa afferma che le norme di comportamento non siano altro che il naturale esito delle interazioni tra le persone. In altri termini, le leggi morali e le questioni etiche ad esse sottostanti sarebbero il frutto non intenzionale coltivato da coloro che hanno contribuito con il tempo agli sviluppi della società. Le leggi morali sarebbero così divenute tali in un secondo momento, a seguito della loro sedimentazione nei costumi dei popoli. In tale asseto teorico il modello matematico del gioco è ritenuto da un lato essere in grado di descrivere il confronto tra dei soggetti razionali, dall’altro lato tuttavia non pretende di qualificare come universali i risultati di queste interazioni.

Una rivisitazione del concetto di norma morale fu inoltre suggerita da Cristina Bicchieri alla metà degli anni Novanta, la quale qualifica la norma come un «equilibrio di Nash», ossia «una combinazione di strategie in cui la strategia di ognuno è la risposta ottimale alle strategie degli altri». Il fatto che esista una legge per Bicchieri è la risultante della preferenza collettiva verso un certo esito del gioco, a cui tutti si conformano, unita alla credenza altrettanto collettiva nel fatto che tutti gli altri membri adottino quella  medesima strategia. In questo modello, infine, gli attori adottano ed imitano delle strategie etiche condivise socialmente, trasmesse nel tempo e non ereditate nel corredo genetico.

In conclusione, nonostante quest’ultima ramificazione della teoria dei giochi possa efficacemente appianare certe difficoltà emergenti nel funzionalismo o nel contrattualismo, possiede anch’essa delle opacità. Infatti quello che non viene preso in considerazione, o che resta un elemento implicito, è la mancata distinzione tra attitudine individuale e rispetto delle norme. Possiamo così qualificare come morali ed eticamente virtuosi i comportamenti che alcuni individui dimostrano di attuare, tuttavia non viene spiegato dagli evoluzionisti se tali decisioni siano il prodotto di una disposizione veramente morale e virtuosa, e pertanto positiva, oppure se esse siano causate dalla costrizione percepita dal soggetto proveniente dalle norme giuridiche o dalle imposizioni sociali, oppure ancora l’esito di un calcolo egoistico che abbia eventualmente condotto ad adottare una strategia solo apparentemente morale. Seppur toccata da tale aspetto aporetico, la teoria evoluzionistica dei giochi, qui brevemente sintetizzata, è stata il ritrovato più articolato e soddisfacente nel tentativo di collegare trasversalmente plurime discipline, dalla matematica all’etica, fino all’antropologia.

 

Referenze e approfondimenti

  • Alfano M., Rusch H., Uhl M., Ethics, Morality, and Game Theory, in «Games», 2018, vol. 9, n. 20, pp. 1-4.
  • Chamberlin J. R., Ethics and Game Theory, in «Cambridge Ethics and International Affairs», 1989, vol. 3, pp. 261-276.
  • Festa R., Teoria dei giochi ed evoluzione delle norme morali, in «Etica & Politica / Ethics and Politics», 2007, vol. IX, n. 2, pp. 148-181.
  • Game Theory and Ethics, in «Stanford Encyclopedia of Philosophy», 2010, pp. 1-18
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