La riapertura delle scuole dopo il blocco di sei mesi causato dalla pandemia di Covid-19 ha riportato al centro del dibattito pubblico il tema cruciale dell’istruzione, spesso illegittimamente privato della giusta considerazione sia politica che sociale. Se le criticità della scuola italiana godono di una triste fama (dispersione scolastica, inadeguatezza degli edifici, scarsi investimenti nella formazione docenti etc.), le azioni e le politiche per affrontarle finiscono per non centrare il bersaglio o semplicemente si rivelano insufficienti. La missione cardinale della scuola resta però inalterata: formare i futuri cittadini, permettere loro di sviluppare le proprie attitudini, crescere intellettualmente apprendendo nuovi contenuti, scoprire il proprio potenziale ed incorporare le competenze necessarie per realizzarlo.
Inoltre, la scuola è anche un luogo di inclusione e integrazione, ce lo ricorda l’Art.34 della Costituzione: “la scuola è aperta a tutti”.
Prendere sul serio i problemi della scuola non è mai stato così urgente. Per questo, abbiamo rivolto qualche domanda al Prof. Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, per provare a delineare quali politiche innovative si potrebbero proporre per intervenire in modo strategico in quattro aree specifiche: l’inclusione della diversità, la perdita degli apprendimenti dovuti alla pandemia, le potenzialità offerte dalla didattica digitale e la scarsità delle competenze degli studenti italiani nelle STEM (Science, Technology, Engineering, and Mathematics). Le soluzioni sono possibili ma richiedono coraggio e visione, oggi più che mai.
Includere gli studenti più fragili è parte integrante della missione educativa delle istituzioni scolastiche. Sappiamo che durante la pandemia uno alunno con disabilità su quattro è stato lasciato indietro dalla didattica a distanza (indagine “Oltre le Distanze,” Fondazione Agnelli). A ciò si aggiunge l’annoso problema del numero insufficiente di docenti di sostegno qualificati. A suo avviso, quali azioni si potrebbero compiere per risolvere questa criticità divenuta strutturale?
Il problema è gravissimo, mancano gli insegnanti di sostegno. Il modello indicato dalla normativa attuale prevede che il docente di sostegno medi tra l’insegnante curricolare e lo studente disabile, rendendo così accessibile per quest’ultimo il lavoro fatto in classe per ogni disciplina. Questo richiederebbe specializzazioni in didattica e pedagogia speciali di cui la stragrande maggioranza degli insegnanti di sostegno attualmente non dispone. Anche la continuità didattica viene troppo spesso a mancare, a sfavore degli allievi. Va ricordato che siamo un paese avanzato: siamo stati i primi a rinunciare a quelle che un tempo erano chiamate “classi differenziali” e a promuovere l’integrazione includendo gli studenti con disabilità nella normale vita di classe.
La nostra proposta è quella di far sì che tutti i docenti di posto comune dispongano degli strumenti per integrare gli studenti con disabilità. Oggi come oggi, i docenti in cattedra hanno poca formazione di natura didattica e nessuna per quanto riguarda la didattica speciale. Si potrebbe invece pensare un modello con un 20% di insegnanti molto specializzati per i ragazzi più gravi, mentre per la restante parte si potrebbero dotare gli insegnanti curricolari degli strumenti didattici adeguati per includere tutti. I ragazzi hanno maggiori opportunità di apprendimento attraverso l’interazione e certamente imparerebbero ad essere migliori cittadini. La Fondazione Agnelli ha sperimentato questo modello in provincia di Trento, l’esito è stato positivo. Non è facile, ma con la giusta formazione e rete di assistenza può funzionare.
L’assenza degli allievi dalla scuola ha pesato molto sulle famiglie ma soprattutto sui ragazzi che oggi ne pagano il conto in termini learning loss, perdita degli apprendimenti. Quale risposta si potrebbe dare nell’immediato a questo problema? Se è possibile valutarlo, in che misura hanno pesato i ritardi in precedenza accumulati dalla scuola?
Attualmente non disponiamo di una misurazione precisa perché quest’anno non si sono tenute le prove Invalsi. Il sospetto, tuttavia, è che sia molto significativa. Significativa è la perdita dei redditi futuri, che abbiamo cercato di calcolare e che se messa insieme per tutti gli studenti supera 10 punti di PIL (“Subito piano di emergenza contro la perdita degli apprendimenti” A. Gavosto, Sole-24ore, 17 agosto 2020). In parte è vero, la perdita degli apprendimenti nasce da mancanze passate, la più ovvia è stata l’inesperienza dei docenti italiani a fare una didattica online. Si pensi che il 77% degli insegnanti impegnati nella didattica a distanza era digiuno di esperienza pregressa e di conoscenze metodologiche specifiche. Oggi sappiamo che esistono modalità efficaci di didattica online che riescono a mantenere alta l’attenzione degli studenti, tecniche semplici, come nel caso della flipped classroom: si registra in precedenza una lezione di massimo 20 minuti per poi discutere i contenuti con la classe. Non solo, si può puntare su lavoro autonomo e in gruppo o utilizzare la gamification per l’apprendimento delle lingue. Se soluzioni possono essere molteplici. Ma tutto ciò va saputo fare e il fatto che questo tipo di formazione non fosse stata mai fatta prima di marzo è stata pagata.
Cosa fare adesso? Formare, formare, formare. Proporrei una campagna obbligatoria e accelerata di formazione dei docenti su come insegnare a distanza, dato l’elevato rischio che le scuole debbano tornare a forme di didattica digitale integrata. Inoltre, si potrebbe estendere il tempo a scuola, prima di tutto, per recuperare quello che non è stato fatto lo scorso anno, in secondo luogo, per prepararsi a eventuali chiusure usando al meglio questa fase gestibile per rafforzare l’attività scolastica. Certo, questo significherebbe chiedere ai docenti di fare ore di straordinari e mettere il personale aggiuntivo “Covid” in campo. Ma va fatto perché abbiamo tanto da recuperare.
Resta centrale il tema dell’innovazione didattica. Le potenzialità di una didattica sempre più integrata da strumenti digitali sono molte ma non sempre note. A suo parere quali motivazioni dovrebbero spingere ad investire di più sul digitale a scuola?
Innanzitutto l’apprendimento online non vuole sostituire la didattica in presenza ma essere complementare ad essa, usando a scuola strumenti e contenuti online. Ciò permetterebbe di affrontare in modo diverso la spiegazione delle varie discipline, per esempio cercando di programmare le lezioni collaborando tra docenti. Un esempio: quando si studia la caduta dell’Impero Romano d’Occidente si parla di storia, ma in modo parallelo si può parlare di chimica, c’è che chi sostiene che il declino fosse legato a un problema ambientale; si parla di forme istituzionali, organizzazione militare, letteratura, arte. Alla secondaria avrebbe senso avere una programmazione armonica a seconda delle tematiche. Inoltre, va sottolineato che sarà sempre più importante guidare i ragazzi e le ragazze ad un utilizzo sano delle informazioni della rete, che potrebbe essere intrapreso più consapevolmente se il primo incontro avvenisse sotto la guida di un adulto esperto, il docente. Un altro esempio è quello del sostegno individuale: in questa fase, specie per i ragazzi con maggiori difficoltà, si potrebbe pensare ad un aiuto impartito tramite video lezioni da docenti o studenti laureati, da nord a sud senza problemi di spostamento. Peraltro, questo servizio porrebbe anche un argine alla diffusa pratica delle ripetizioni, di solito in nero, e contribuirebbe a recuperare la perdita di apprendimenti. Le possibilità sono molte. Ci sono software in grado di assistere il docente: è il caso dei programmi di intelligenza artificiale (CAL, computer assisted learning) che aiutano a stabilire i compiti individuando le aree in cui lo studente ha più difficoltà. Il software non sostituisce il docente ma lo può aiutare ad individuare un percorso individuale per ciascuno studente. Oggi si danno i compiti a tutta la classe, domani si daranno i compiti per permettere ai singoli studenti di colmare i ritardi.
A proposito di ritardi, le scarse competenze in STEM degli studenti italiani sembrano riflettere lo stato di un paese che fa fatica ad innovare. Stando all’indagine Ocse PISA 2018, i quindicenni italiani hanno competenze inferiori ai loro colleghi europei in lettura e scienze, ma paragonabili in matematica. Competenze insufficienti, persistente divario di genere, scarso interesse a perseguire carriere in ICT. Quali sono le ragioni di tale ritardo e che cosa si può fare?
Per affrontare questo problema bisogna partire dalla primaria e, ancora una volta, occorre cambiare la didattica. Spesso accade che la didattica in matematica e scienze sia fatta in modo poco accattivante, trasmissivo e astratto, mentre nel resto dei paesi europei la didattica è svolta in modo sperimentale, specie in fisica e scienze. L’uso di internet può cambiare le cose, ma occorre cominciare presto, cambiare radicalmente la didattica per renderla più stimolante e interattiva.
Grave è la questione del divario di genere. Siamo il paese che ha maggiore differenza nei risultati tra ragazzi e ragazze nelle materie scientifiche a svantaggio di queste ultime. Bisogna correre urgentemente ai ripari perché questo gap si sta allargando, in controtendenza al resto d’Europa. Alla base vi è un radicato stereotipo di genere che prevede che le ragazze siano disincentivate e non indirizzate verso le materie scientifiche perché considerate più complesse. Il classico: “tu non sei portata..”. Molti studi condotti da psicologi dicono che anche a parità di abilità scientifica o matematica le famiglie tendono a ritenere le scienze più “da maschio”. Bisogna lavorare su questi stereotipi ma richiede una generazione perché si cambino in modo sostanziale i comportamenti culturali. Seguire il modello delle tante scienziate italiane è possibile, ma il lavoro sulla didattica a tutti i livelli di insegnamento delle materie scientifiche è imprescindibile.
https://www.fondazioneagnelli.it/la-fondazione/
https://www.fondazioneagnelli.it/2016/04/19/gli-esiti-della-sperimentazione-trentina-sui-bes/
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