Il “blurring effect” spiega l’effetto dei social sul COVID-19

Diversi accademici, nell’analisi teorica delle grandi epidemie del passato, hanno individuato nella democrazia il sistema politico più efficace per affrontare e risolvere con successo le emergenze sanitarie, considerando principi chiave della democrazia quali la libertà di stampa, il multipartitismo e la trasparenza strumenti decisivi per la corretta gestione di tali problemi.

Tuttavia, gli avvenimenti che si stanno verificando nel contesto della pandemia da SARS-CoV-2 sembrano confutare questo orientamento, rivelando dei difetti presenti nelle grandi democrazie europee e nordamericane nella gestione di questa situazione straordinaria, che come risultato stanno producendo numeri più elevati in termini di malati e morti rispetto al regime autoritario vigente in Cina.

Alla luce di questi eventi, è lecito dunque chiedersi: è davvero la democrazia il sistema più efficace per affrontare questa pandemia? O meglio, quali elementi presenti nelle democrazie rendono complicata la gestione di un’emergenza sanitaria?
Allo scopo di ipotizzare una risposta a queste domande, questo articolo esprime degli spunti di riflessione sul ruolo che i social media hanno avuto nelle fasi iniziali della pandemia da SARS- CoV-2, ed in particolare di indagare il loro impatto sulla gestione dell’emergenza confrontando i risultati ottenuti in una democrazia, ovvero l’Italia, ed in uno stato autoritario, la Cina, inserendosi anche nella più ampia riflessione che analizza il rapporto tra digitalizzazione e democrazia.

Nell’articolo, riprendendo la teoria del 2009 di O’Malley, Rainford e Thompson, secondo la quale è proprio la trasparenza di un governo l’elemento determinante nella gestione efficace di un’emergenza sanitaria, viene teorizzato un “blurring effect” (“effetto offuscante”) dei social media, per cui nelle democrazie, dove il livello di trasparenza è più elevato rispetto a quello di un regime autoritario, la libertà di postare contenuti di ogni tipo online e lo scarso controllo di questi canali da parte del governo centrale contribuiscono ad offuscare gli effetti positivi della trasparenza stessa, aumentando la confusione sia tra i cittadini che tra i policy makers, e rendendo di conseguenza molto complicata una amministrazione fluida ed efficace del problema.

Lo sviluppo di questo concetto teorico nasce dall’osservazione della situazione nel nostro Paese e dal confronto con gli avvenimenti in Cina. Da un lato, in Italia i social media hanno contribuito ad intensificare la confusione e la disinformazione sul tema, permettendo a chiunque di postare notizie false e speculazioni fuorvianti sul virus vanificando il lavoro degli apparati ufficiali di informazione, ma permettendo anche a personaggi rilevanti nel mondo della politica o dello spettacolo di veicolare messaggi tali da influenzare l’atteggiamento della popolazione verso il virus, passando dalle rassicurazioni anti psicosi di gennaio all’hashtag #iorestoacasa che ha spopolato a marzo.

In Cina, invece, dove l’emergenza è stata sostanzialmente domata con conseguenze meno drammatiche rispetto a quelle registrati in gran parte del mondo (stando ai dati ufficiali cinesi), il massiccio e rigido controllo sull’uso dei social media da parte dei cittadini ha avuto un ruolo determinante, sebbene rappresenti una policy da sempre operativa nel regime di Xi Jinping, e tramite la quale il Presidente esercita un enorme azione di sorveglianza sia sulla libertà di parola che di movimento dei cittadini cinesi; esempio perfetto in questo caso è la storia del dottor Li Wenliang, oftalmologo di Wuhan che, temendo di aver scoperto una nuova malattia simile a quella provocata dalla SARS nel 2003, è stato rintracciato dalle forze dell’ordine locali dopo aver evidenziato questi sospetti nella chat di WeChat con i suoi studenti, venendo accusato di voler sabotare il governo riportando notizie false (che, alla fine, si sono rivelate purtroppo vere).

L’elaborazione di questo concetto e il discorso esposto in questo articolo si inseriscono dunque in una più ampia discussione sul controllo dei social media da parte degli apparati governativi, molto attuale anche viste le recenti discussioni sul tema, offrendo spunti per riflettere sulle seguenti domande: è giusto, in una democrazia come la nostra, invadere la privacy dei cittadini nel loro uso quotidiano dei social media per perseguire un bene maggiore (in questo caso, sconfiggere il virus),
e fino a che punto è lecito implementare tali strumenti di controllo?

Sicuramente, questa domanda non può accettare una risposta immediata e lapidaria data la delicatezza del tema, richiedendo quindi una discussione più ampia tra chi elabora le decisioni (la politica) e chi è in grado di sviluppare determinate tecnologie (la scienza), in modo da trovare delle soluzioni che, sfruttando la potenzialità delle nuove tecnologie, rispettino la privacy di tutti i cittadini; tuttavia, l’elaborazione di strumenti tramite i quali esista l’opportunità di condividere, su base completamente volontaria, delle informazioni utili a prevedere e ridurre i contagi, rappresenterebbe un’arma da non sottovalutare nella lotta al virus, in un epoca come la nostra dove i big data sono capaci di affrontare quasi ogni tipo di problema.

Ndr. Vuoi approfondire? Il nostro autore Andrea Mili ha preparato un paper in lingua inglese sul tema: Democracies in global health emergencies: the blurring effect of social media

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