Oggi l’Europa è in una posizione scomoda. Stretta fra due superpotenze, Stati Uniti e Cina, rischia di ridursi al ruolo di comprimaria. Nel XXI secolo la supremazia geopolitica non si costruisce solo con le armi e la politica, ma soprattutto con la tecnologia.
E il problema è proprio qui: nel settore digitale l’Europa è marginale. Tra le prime 15 imprese digitali al mondo dieci sono statunitensi, una sudcoreana, una giapponese e tre cinesi (contando anche Hong Kong). Il Vecchio Continente? Non pervenuto. Ci sono stati alcuni casi di successo, come Skype, Beddit, Shazam e Minecraft, ma superata la fase di startup sono state comprate da Apple o Microsoft e hanno lasciato l’Europa. È un’emergenza: la regione più ricca del mondo, con circa 750 milioni di abitanti, non può permettersi di perdere la sfida digitale.
Le cause del ritardo europeo sono molteplici. Per iniziare, spendiamo meno in ricerca e sviluppo, anche se stiamo migliorando: nel 2016 l’Unione Europea ha speso il 2,06% del PIL rispetto al 2,8% statunitense e al 2,1% cinese. La gestione delle risorse, inoltre, non è efficiente. A livello globale il 38% delle richieste di brevetto viene dalla Cina, il 20,4% dagli Stati Uniti e solo il 5,5% dall’Unione Europea. Le imprese innovative, poi, faticano a trovare “capitale paziente”, cioè soggetti disposti a investire in un business senza prospettive di profitto immediato, che può però diventare redditizio nel lungo periodo. Mancano sia i Venture Capitalist sia gli investimenti pubblici. Le due fasi più critiche sono lo stadio iniziale, in cui serve un supporto per la capitalizzazione, e lo stadio della crescita, in cui bisogna fare il salto al livello globale. Nel primo e nel secondo caso gli Stati Uniti investono rispettivamente 9 e 20 volte più di noi. Inoltre, il mercato europeo è troppo frammentato. Ogni Paese ha tassazione e leggi diverse e a livello di spesa in ricerca c’è molta disomogeneità: sempre nel 2016 Svezia e Austria spendevano oltre il 3% del PIL in R&D, ma ben nove Stati non arrivavano all’1%. Anche il sistema educativo non è all’altezza. Le università europee sono tra le migliori al mondo, ma trascurano le materie pratiche, come ingegneria e informatica, e faticano a dialogare con gli imprenditori per creare hub tecnologici. Anche qui, la spesa per studente degli Stati Uniti è 2,6 volte superiore. Per finire, secondo molti c’è anche un problema culturale. Gli europei sarebbero meno propensi al rischio, perciò le grandi società tenderebbero a preferire acquistare tecnologia già esistente da imprese affermate invece che scommettere su nuovi prodotti e start-up.
Il caso 5G mette a nudo la debolezza dell’Europa. Per la prima volta la cinese Huawei ha la leadership infrastrutturale in una tecnologia potenzialmente rivoluzionaria, il che significa accedere a un flusso enorme di dati, oltre che beni e servizi. Gli Stati Uniti stanno provando ad opporsi. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha minacciato ritorsioni per i Paesi europei che trattano con Huawei, chiedendo quindi di escluderla dal lancio dell’infrastruttura 5G. L’Europa si trova tra due fuochi: da una parte dipende dalla posizione dominante cinese nella catena del valore ICT, specialmente nell’hardware, dall’altra gli USA restano il primo garante della sicurezza europea e sono leader nello sviluppo dei software. Il 5G è solo un tassello di uno scontro fra civiltà: da una parte la liberaldemocrazia americana, pur indebolita da Trump, dall’altra la dittatura cinese. L’Europa rischia di diventare un mero oggetto di questa contesa geopolitica: l’unica alternativa è trovare un consenso comune su come reagire. Se è scontato che dobbiamo stare dalla parte della democrazia, è anche vero che l’Europa deve ambire a diventare più indipendente dagli Stati Uniti per essere un’alternativa al duopolio sino-americano. Per uscire dall’isolamento dovremo anche collaborare con gli altri attori globali, come India, Sud-Est asiatico o Africa. Il vero obiettivo, però, è trovare una strategia comune.
Qualcosa si muove: il 22 Marzo 2019 c’è stata la prima riunione del Consiglio Europeo per arrivare a una legislazione comunitaria sulla cybersecurity. È un primo passo, ma l’Europa deve fare molto di più per imporsi nel mondo digitale. Innanzitutto, creare un mercato unico digitale che armonizzi la legislazione e riduca la burocrazia. L’abolizione del roaming e direttive come la General Data Protection Regulation (GDPR) sono un primo passo. Inoltre, bisogna potenziare strumenti di investimento pubblico come l’European Fund for Strategic Development (EFSI), che possono vincere l’inerzia iniziale, ridurre il rischio di scommettere su start-up innovative e attirare finanziamenti privati. Questo si può fare o aumentando il budget dell’Unione Europea o riducendo i sussidi a settori meno produttivi. Tanto dipenderà anche da un cambio di mentalità, sia nelle Università sia nel mondo della finanza. L’Europa deve imparare ad accogliere i cambiamenti provocati dallo sviluppo tecnologico, invece che contrastarli. L’unica certezza è che per competere con Stati Uniti e Cina non si può trascurare la sfida digitale.
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