Negli ultimi decenni, il processo di globalizzazione ha portato ad una forte integrazione delle economie nazionali, determinando un costante aumento del volume delle importazioni ed esportazioni tra Paesi. Recentemente, a partire dal referendum sulla Brexit, stiamo vivendo una nuova stagione politica dove i partiti che si contrappongono alle tradizionali guadagnano consenso, spesso proponendo programmi protezionistici. Fino a che punto questa polarizzazione politica può essere una conseguenza dello sviluppo del commercio internazionale?
Dallo studio dei principali modelli di economia internazionale emerge chiaramente come una maggiore integrazione delle economie sia più vantaggiosa rispetto all’autarchia o a regimi protezionistici. Infatti, gli scambi tra nazioni permettono di arricchire in termini assoluti le economie che vi partecipano, determinando potenzialmente dei miglioramenti Pareto efficienti, ovvero un guadagno per tutti gli agenti senza che nessuno veda peggiorare la propria posizione iniziale. Nella realtà dei fatti, i maggiori guadagni non sono equamente distribuiti tra i proprietari dei fattori che contribuiscono alla produzione: assumendo come valida l’ipotesi che tutti i Paesi siano diversi per disponibilità dei fattori produttivi è possibile utilizzare il modello di Heckscher-Ohlin per evidenziare le implicazioni redistributive del commercio. Nel modello a due fattori, capitale e lavoro, una nazione abbondante del primo esporterà beni che sono intensivamente prodotti con esso e sarà caratterizzata da una maggiore remunerazione del capitale stesso a discapito dei salari dei lavoratori, i quali vedono peggiorare la loro posizione economica.
Nonostante l’attività del commercio generi un surplus sufficiente a compensare i perdenti, affinché si raggiunga un miglioramento paretiano risulta fondamentale l’azione redistributiva del governo. Pertanto, è importante che le politiche approvate permettano di redistribuire la ricchezza in modo da ridurre gli squilibri che si generano dal commercio, tenendo conto che l’individuazione di tali politiche è spesso complessa o osteggiata da lobby interne e, inevitabilmente, questo può produrre agitazione politica. Il costante aumento delle importazioni e della competizione estera può portare numerose difficoltà ad interi settori produttivi che trasmettono le loro sofferenze ai lavoratori. Questi shock non compensati da parte del governo determinano una redistribuzione della ricchezza all’interno delle comunità e il persistere nel tempo di questa situazione può portare al cambiamento delle posizioni politiche dei singoli individui. In questo contesto, il voto a partiti non allineati può essere interpretato come un voto di protesta nei confronti dei politici in carica. Oppure, nel caso in cui gli individui siano in grado di identificare il commercio come causa degli shock, può portare a favorire posizioni protezionistiche.
Nello specifico, un importante filone di ricerca cerca di dimostrare empiricamente la correlazione tra gli shock del commercio internazionale, e più in generale shock che alterino la distribuzione della ricchezza, con le scelte che vengono fatte alle urne. In accordo con Colantone e Stanig (2017), si osserva come nei distretti elettorali europei maggiormente colpiti da incrementi delle importazioni con la Cina, i partiti populisti o nazionalisti abbiano raccolto una percentuale maggiore di voti rispetto a regioni meno interessate. Inoltre, data la distribuzione degli shock alle importazioni delle regioni inglesi, se tutti i distretti elettorali fossero stati colpiti come quelli nel primo quartile, si stima che la quota del Leave si sarebbe aggirata attorno al 47,7 %, determinando un totale ribaltamento della risultato elettorale.
Sebbene ci sia un’evidenza empirica significativa che dimostri come shock economici e voto populista siano correlati, non è possibile attribuire la totalità del successo di questi partiti all’evoluzione del commercio internazionale e a shock economici in generale: i dati sono in grado di spiegare solamente delle porzioni marginali di voti, le quali nel caso di Brexit e delle ultime elezioni presidenziali americane si sono dimostrate fondamentali. Tuttavia, non spiegano la gran parte dei voti che questi partiti hanno ricevuto. Il loro successo è dunque attribuibile a fattori principalmente culturali o, come cerca di dimostrare la recente letteratura, ai particolari pattern di identificazione collettiva tra la popolazione, dove l’avversione alla disuguaglianza economica gioca un ruolo fondamentale.
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