Gender Pay Gap: analisi del più grande furto della storia

Tra i numerosi temi delle mobilitazioni femministe di quest’ultimo 8 Marzo, la disparità salariale è stata senza alcun dubbio uno di quelli che maggiormente ha dato vita a dibattiti e discussioni. Tuttavia, affinché la narrativa della parità non risulti fine a sé stessa è necessario continuare a esporre il problema anche una volta spenti i riflettori popolari, presentandone i dati aggiornati.

Secondo la ricerca “Equal Pay Matters”, svolta dalla direttrice di UN Women Phumzile Mlambo-Ngcuka, nel mondo le donne guadagnano in media il 23% in meno rispetto ai propri colleghi uomini (UN Women, 2016). Per ogni dollaro percepito da un uomo dunque, la sua vicina di scrivania guadagna in media settantasette centesimi.

Il fenomeno del divario remunerativo risulta piuttosto diffuso a livello mondiale, benché l’ampiezza del differenziale vari notevolmente tra le diverse aree geografiche. Nessuna relazione evidente risulta tuttavia tra PIL di un Paese e Gender Earning Gap: tra i Paesi cosiddetti low-incomee quelli high-income, vi è una differenza di solamente 2 punti percentuali per ciò che concerne il pay gap(Global Gender Index 2017). Per citare un esempio, è possibile considerare il caso di Lussemburgo e Costa Rica, con scarti retributivi di genere intorno ai 6 punti, e della Corea del Sud, ferma ad oltre il 30%.

La scarsa partecipazione femminile al mondo del lavoro e la disparità salariale costituiscono secondo il World Economic Forum le più estese forme di disuguaglianza di genere a livello mondiale: solo il 58% del global gapin tali ambiti è stato infatti colmato. Secondo i risultati del Report nell’ edizione 2018, i Paesi best-in-classper partecipazione e parità di retribuzione risultano essere: Lao PDR, che ha chiuso il 91% del proprio gap, Barbados e Bahamas. Il Belpaese conferma la necessità di intervenire in maniera più strutturata a riguardo, fermandosi alla 118esima posizione nel rankingper tale indice.

Se in Italia la questione sembra lontana dal potersi risolvere, a livello europeo risulta invece in via di miglioramento: benché infatti alcuni Paesi europei presentino ancora un divario superiore al 20%, il raggiungimento della parità salariale è stato inserito ai primi posti tra gli obiettivi della politica UE. Complessivamente, nel 2016, le lavoratrici europee hanno percepito un salario orario inferiore del 16.1% rispetto ai loro corrispondenti uomini, nonostante la presenza di Paesi virtuosi, tra cui la Romania, che da tempo sono al di sotto dei 10 punti (Eurostat, 2018).

Eurostat ha evidenziato che il gender pay gap tende ad accentuarsi con l’avanzare dell’età, a causa dell’emergere di necessità familiari che possono ridurre il tempo al lavoro, tra cui la presenza di figli o di genitori non più autosufficienti, e appare direttamente proporzionale al livello di istruzione, toccando punte del 33% in media per i lavoratori con titolo universitario.

Emerge inoltre che i settori professionali sono soggetti a tale piaga in misura piuttosto variegata: se il settore finanziario tende ad esserne maggiormente colpito, il mondo edilizio e delle utilitiespresenta mediamente una maggior parità. Per le lavoratrici del settore pubblico, più spesso inserite in contratti collettivi, la situazione appare più rosea, benché anche in questo caso le differenze nazionali appaiano rilevanti: la Romania è caratterizzata da migliori retribuzioni per le lavoratrici statali, le quali ricevono in media il 6% in più dei loro colleghi uomini, mentre il Regno Unito è ancora segnato da un gapdi oltre 24 punti percentuali in favore di questi ultimi (Eurostat, 2018).

In Italia la professione più colpita risulta essere quella manageriale, dove alle donne viene corrisposto un salario inferiore di oltre il 22% rispetto a quello degli addetti uomini, mentre per impiegati e lavoratori del settore commercio la situazione è generalmente più equilibrata (Eurostat-Istat, 2017).  Il Gender Pay Gaprisulta presente a tutti i livelli gerarchici, benché ai vertici si presenti con maggior frequenza, a causa del cosiddetto “soffitto di cristallo”. Esso risulta, infatti, in relazione con la “concentrazione maschile” presente nel settore: operaie e dirigenti divengono dunque economicamente svantaggiate rispetto ad impiegate e addette vendita, professioni nelle quali la presenza delle donne è superiore al 50%.

Analizzando più nello specifico il caso italiano, il differenziale salariale di genere è fermo a circa il 43.5%, decisamente superiore alla media UE, che si attesta ai 39.6 punti percentuali (IlSole24Ore, 2018). Se per ciò che concerne la paga oraria il nostro Paese risulta inserito nella top tendei Paesi virtuosi, a risultare determinanti per la sua discesa nel rankingsono altri fattori, quali la disoccupazione femminile al di sopra della media europea, la segregazione nei settori occupazionali con retribuzioni mediamente inferiori, più alti livelli di istruzione e qualificazione media (a parità di occupazione) che rendono il campione delle lavoratrici più omogeneo e ristretto e ne accrescono il salario orario. Le donne inoltre tendono ad essere meno disposte ad accettare straordinari e trasferte e preferiscono in molti casi un impegno parziale ad unofull-time, elementi ancora vincolanti in un mercato del lavoro di matrice sostanzialmente presenzialista.

È proprio a causa di tali motivazioni che l’analisi annuale dell’Osservatorio JobPricing fa emergere una differenza retributiva reale di circa 3700 euro tra lavoratori di sessi diversi, pari al 12.7% dell’ammontare lordo annuo.

Numerosi sono i Paesi europei che hanno attuato politiche specifiche di contrasto alla disparità salariale; tra gli interventi più frequentemente attuati vi è la pubblicazione delle remunerazioni dei dipendenti, al fine di far emergere eventuali irregolarità legate a sesso, etnia, disabilità o altri fattori. Tra gli Stati che hanno seguito tale strategia è possibile ritrovare la Germania, che con la legge del 30 marzo 2017 ha imposto alle imprese con più di 500 dipendenti di pubblicare i dati inerenti al trattamento retributivo, ma anche Regno Unito e Stati Uniti d’America. Maggiormente rigida è la policyattuata in Islanda, che prevede controlli di polizia a cadenza regolare alla contabilità delle imprese, al fine di verificare l’adempienza all’obbligo di parità retributiva.

In Italia tale principio è stato ripreso con il decreto legislativo 198/2006 che obbliga le aziende del settore pubblico e privato con oltre 100 dipendenti alla redazione di un resoconto biennale sul trattamento del personale, evidenziando in particolare retribuzioni, avanzamenti di carriera, ricorso a Cassa Integrazione, maternità o altri istituti. Tali documenti vengono successivamente trasmessi alla Consigliera Regionale di Parità che li analizza e verifica eventuali inadempienze. L’efficacia nel reperimento dei dati in tempi brevi e l’effettiva messa in atto di misure sanzionatorie risultano però ancora ridotte. (IlSole24Ore, 2017).

Ogni anno il 3 di Novembre in Europa ricorre l’#EqualPayDay, che ricorda simbolicamente il giorno in cui le donne smettono di essere retribuite per il loro lavoro, se paragonate ai colleghi uomini. Benché tale ricorrenza offra un interessante spunto di riflessione, questi 58 giorni non possono essere più accettati: molto di più deve essere fatto per colmare quello che, in più occasioni, è stato definito “il più grande furto della storia” (La Repubblica, 2017).

 

References

D’Ascenzo (2017), Dopo l’Islanda, la Germania approva la legge contro il divario salariale fra uomo e donna. E l’Italia?, Sole24Ore.

D’Ascenzo (2018), Salari: il divario «inspiegabile» tra gli uomini e le donne in Italia, Sole24Ore

Eurostat (2018), Gender pay gap statistics – Statistics Explained, Eurostat.

JobPricing (2017), Disparità di genere; qual è la situazione in Italia nel 2017, Osservatorio JobPricing,

Piazzalunga (2016), Contro il gender pay gap: lavoro alle donne e conciliazione agli uomini. Facciamo il punto partendo dai dati più aggiornati, inGenere.

Phumzile Mlambo-Ngcuka (2016), Equal pay matters, UN Women

Repubblica (2017), Gender gap, nelle buste paga di uomini e donne una differenza di oltre 3mila euro, Repubblica.it.

Repubblica (2017), Stipendi, in Italia il divario più basso tra uomini e donne, Repubblica.it

Repubblica (2017), Onu: “Le donne guadagnano il 23% meno degli uomini. Il più grande furto della storia”, Repubblica.it.

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