L’iter di approvazione del disegno di legge di bilancio per l’anno 2019 ha raggiunto il traguardo. La bagarre tra Commissione europea e Governo Italiano andata avanti per mesi sembrava non avere tregua. La commissione aveva respinto la manovra economica, in quanto manifestava una deviazione significativa dai parametri del Patto di Stabilità e Crescita senza eguali nella storia, con un allontanamento dal percorso concordato con il precedente governo di aggiustamento dei conti pubblici e riduzione progressiva del debito pubblico.
Un film già visto con il precedente governo. Infatti, la lettera di risposta inviata dall’ex ministro delle finanze Pier Carlo Padoan esprimeva preoccupazione riguardo alla metodologia concordata per la stima delle misure in discussione, considerate penalizzanti per l’Italia. In particolare, l’ex Ministro sosteneva che adottando metodologie alternative per le stime del Pil Potenziale, ci sarebbero stati margini di flessibilità maggiori per il bilancio pubblico.
Dopo settimane, l’accordo è stato raggiunto. E’ stata veramente accordata maggiore flessibilità di bilancio al nostro Paese?
Più in dettaglio, i tecnici del MEF con il focus presente nel documento di Economia e Finanza 2016 (DEF 2016), mettono in risalto che adottando metodologie alternative alla stima del PIL potenziale, ci sarebbe un impatto non indifferente sul saldo di bilancio strutturale, con margini di flessibilità nell’utilizzo di risorse economiche in termini di attuazione di politiche anti-cicliche di bilancio.
Per comprendere al meglio il discorso, è tuttavia necessario partire dal calcolo Pil potenziale, misura essenziale per il computo del saldo strutturale di bilancio e del relativo vincolo di bilancio recepito nel nostro ordinamento con la legge costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012. La definizione della legge di bilancio e delle relative norme fondamentali sono state demandate alla legge 24 dicembre 2012, n.243. Da qualche anno, infatti, la Commissione Europea fissa gli obiettivi di deficit di medio termine per i Paesi membri sulla base di una misura ben definita ovvero il deficit strutturale, calcolato in riferimento al Pil potenziale; in sostanza, il deficit strutturale rappresenterebbe la condizione dei conti pubblici di un paese in corrispondenza del pil potenziale, vale a dire in corrispondenza di una situazione in cui l’economia riesce a impiegare pienamente tutte le risorse di cui dispone – capitale e lavoro – senza generare spinte inflazionistiche. In breve, una misura depurata dalle componenti del ciclo economico e delle misure una tantum. Per l’Italia,in particolare, a causa dell’elevato debito pubblico la Commissione prescrive un obiettivo di medio termine pari a zero, ovvero detto in altri termini, un saldo di bilancio strutturale in pareggio.
Più in dettaglio, la partita sulla flessibilità si gioca sulla stima attribuita ad una misura, l’output gap: si tratta, più precisamente, della differenza tra il pIl effettivamente realizzato e il prodotto potenziale, espresso in percentuale del pil potenziale; quanto maggiore è il prodotto potenziale, tanto maggiore sarà l’output gap, e tanto maggiore sarà in termini assoluti il deficit strutturale consentito all’Italia nella manovra di bilancio.
A differenza del prodotto realizzato, il Pil potenziale è una grandezza non osservabile. Pertanto, va stimato sulla base di metodologie econometriche. La stima di questo valore è fonte di grande incertezza e criticità da un punto di vista sia teorico sia empirico, tanto da aver portato La Commissione ad istituire un gruppo ad hoc in senso al Consiglio per la Programmazione Economica europea denominato Output Gap Working Group (OGWG).
Tale gruppo di lavoro adotta per la stima del Prodotto potenziale il metodo della funzione di produzione Cobb-Douglas a rendimenti costanti. Tale funzione considera come elemento essenziale il concetto di crescita non inflazionistica, il quale a sua volta, si basa su un tasso di disoccupazione strutturale in corrispondenza del quale il tasso di crescita dei salari nominali non accellera, ovvero il NAWRU, oggetto di diverse controversie teoriche ed empiriche, in quanto può essere solo influenzato da politiche ti tipo strutturale.
Nel caso italiano, i tecnici del MEF (DEF 2016) sottolineano che la metodologia adottata a livello europeo sembra non funzionare adeguatamente in quanto fornisce risultati statisticamente poco significativi ed economicamente contro-intuitivi.
In tal guisa, il metodo alternativo adottato dal MEF suggerisce l’adozione del concetto di NAIRU( Non accelareting Inflation rate of Unemployment), ovvero l’utilizzo di quel tasso di disoccupazione che non accelera la dinamica dei prezzi, portando a ritenere che il tasso di disoccupazione strutturale risente anche degli accadimenti degli effetti del ciclo economico.
Il focus del MEF mette a confronto le stime del tasso di crescita del pil potenziale e dell’output gap, fornite con l’utilizzo dei due metodi differenti. Ciò che rileva è interessante. Il tasso di crescita del potenziale risulta con il modello alternativo meno pro-ciclico , con una stima del Potenziale più elevata, output gap “migliore” e, di conseguenza, margini su saldo di bilancio strutturale “migliori”. Dai dati risulta, inoltre, che la metodologia econometria del MEF attribuisce alla componete ciclica un peso maggiore senza richiede ulteriori misure correttive di bilancio, dove invece la metodologia UE tende a sottostimare la congiuntura economica.
Sulla base di questi risultati, si evince che con il metodo alternativo il nostro Paese, già a partire dal 2015, avrebbe conseguito l’Obiettivo di Medio Termine corrispondente ad un saldo di bilancio strutturale in pareggio ed utilizzando l’accumulo di risorse aggiuntive per una espansione effettiva del bilancio a partire dagli anni successivi.
In conclusione, dall’analisi evidenziata, il metodo alternativo del MEF porta a due ordini di considerazioni:
- in prima istanza, l’output gap stimato con metodi differenti porta a risultati differenti, perdendo così di generalità la stima apportata in seno alla Commissione europea.
- in secondo luogo, il metodo alternativo utilizzato per la generalità dei Paesei membri, permettendo maggiore flessibilità di bilancio all’interno dei parametri Europei, condurrebbe alla possibilità di liberare risorse economiche aggiuntive, da utilizzare per il rilancio della domanda aggregata e per porre in essere le riforme strutturali necessarie al Paese.
Alla luce di tutto ciò, si ritiene che si sarebbe dovuto negoziare sulle questioni appena delineate al fine di apportare un cambiamento concreto e strutturale al modus cogitandi in seno alla Commissione Europea e per il riconoscimento di una maggiore stance for fiscal policy e quindi maggiori flessibilità per il bilancio statale.
Bibliografia:
Havik, K., K. McMorrow, F. Orlandi, C. Planas, R. Raciborski, W. Roeger, A. Rossi, A. Thum-Thysen and V. Vandermeulen (2014): The Production Function Methodology for Calculating Potential Growth Rates and Output Gaps, European Economic Papers, Nr. 535.
http://www.dt.tesoro.it/modules/documenti_it/analisi_progammazione/documenti_programmatici/W-_DEF_2016_Sez_I_PdS_2016.pdf (pagg. 44 – 51)
https://voxeu.org/article/assessing-compliance-stability-and-growth-pact-s-rules
http://www.mef.gov.it/inevidenza/documenti/DOCUMENTO_PROGRAMMATICO_DI_BILANCIO_2016-IT.pdf
Fioramanti,M., Padrini,F., Pollastri,C (2015) “La stima del Pil potenziale e dell’output gap: analisi di alcune criticità”, Nota di lavoro, Ufficio Parlamentare di Bilancio,1.
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