Per crescere l’Italia ha bisogno di immigrati integrati

A fronte di una incessante politica del terrore contro i migranti, più che mai c’è bisogno di voci che analizzino il fenomeno dell’immigrazione depurato dall’odio a cui assistiamo quotidianamente.

Le recenti campagne elettorali ci hanno insegnato che il vero problema che affligge la popolazione italiana dipende da una presunta minaccia esterna costituita dall’immigrazione. E ci sono riusciti: come riportato in un sondaggio condotto da Demos, la paura degli “altri” in Italia è cresciuta e il 43% delle persone manifesta preoccupazione in proposito. Questo tipo di azione ha un solo scopo: dirottare il malessere sociale e i sentimenti d’insicurezza dalle vere cause.

Ciò che non ci è stato insegnato e che continua ad essere negato è il fatto che politiche di accoglienza ben organizzate e capaci di una positiva integrazione dei migranti, qualunque sia il loro background di competenze, possono portare vantaggi.

Il seguente articolo non intende condurre un’analisi di dati legata puramente al flusso di immigrazione. Ogni giorno siamo bombardati di news e fake news su questo tema. Chiunque abbia tempo e voglia di documentarsi potrà facilmente scoprire che il numero di migranti arrivati nel 2018 sulle coste italiane sono quasi l’80% in meno di quelli dello stesso periodo dell’anno precedente (questo e altri dati sono forniti dal Ministero degli Interni).

L’obiettivo di questo articolo è differente. Le prossime righe vorrebbero stimolare una riflessione razionale e priva di pregiudizi sui vari benefici che potrebbe portare una immigrazione controllata e organizzata. In letteratura, sono numerosi gli studi che investigano la relazione tra il fenomeno dell’immigrazione e la crescita economica.

L’economista Giovanni Peri, nel paper The effect of immigration on productivity: evidence from US states, ha dimostrato che negli Stati Uniti gli immigrati regolari, anche quelli con poca istruzione, stimolano la crescita economica con il loro lavoro e i loro consumi contribuendo a creare imprese, a fornire competenze professionali e a offrire lavoro sul mercato americano (negli Usa ci sono 43 milioni di immigrati, cioè il 13% della popolazione). In particolare, egli analizza i dati di ogni stato per determinare l’impatto dell’immigrazione su una varietà di outcomes del mercato del lavoro, tra cui l’occupazione, le ore medie lavorate, l’intensità media delle competenze, la produttività e il reddito per lavoratore.

Ancora, il Rapporto 2017 sull’economia dell’immigrazione stima che il pil prodotto dai 2,4 milioni di occupati immigrati in Italia ha raggiunto i 130 miliardi di euro, pari all’8,9% del pil nazionale. Aumentano gli stranieri e così il loro contributo alla ricchezza nazionale: secondo questi dati, se gli immigrati occupati formassero uno stato, esso rappresenterebbe la diciasettesima economia europea, davanti a Ungheria, Slovacchia e Croazia.

La crescita della forza lavoro, però, non incide sulla crescita, bensì sui livelli del pil. Effetti sui tassi di crescita sono visibili solo se l’immigrazione migliora il livello medio del capitale umano oppure se aumenta in modo permanente i tassi di fertilità.

L’integrazione degli immigrati è quindi fondamentale affinché esternalità come, ad esempio, il trasferimento di capitale umano agli autoctoni e le interazioni immigrati-nativi possano contribuire ad aumentare il contenuto formativo del lavoro e di conseguenza portare crescita. In questa direzione, l’attenzione non deve essere posta sul background di competenze degli immigrati, i quali possono essere o “skilled” o “unskilled”, ma sulle specifiche politiche di integrazione che si ha intenzione di adottare per ottenere una immigrazione qualificata. È solo grazie ad esse che il capitale umano associato all’immigrazione può rappresentare una chiave per la crescita.

In tale prospettiva i giovani immigrati rappresentano una potenziale risorsa per l’Italia e potrebbero rimpiazzare i tantissimi italiani in partenza. Allora perchè non incentivare un numero ragionevole di immigrati a partire, legalmente, come studenti, lavoratori e imprenditori, stimolando l’economia del paese ospitante e creando connessioni tra paesi?

Il movimento internazionale di persone va visto come motore di crescita e sviluppo. In questa direzione, l’immigrazione in Italia andrebbe governata strategicamente come risorsa per la crescita invece che affrontata come emergenza. Ma per sfruttare i potenziali benefici dell’immigrazione ci vogliono politiche lungimiranti, basate su riforme del mercato del lavoro che introducano più flessibilità in certi settori e sulla previsione, pianificazione e gestione di flussi futuri, così come maggiori incentivi corretti per le imprese.

Quanto esposto è inutile e lo saranno tutte le politiche future che verranno proposte se non si assume un certo tipo di atteggiamento. Bisogna essere disposti ad accettare gli “altri” e a dare lore le stesse opportunità che vengono concesse agli italiani.

L’odio alimenta odio, è un ciclo inevitabile, e senza un cambio di mentalità nessuna crescita è possibile.

 

Fonti

Ilvo Diamanti, La sinistra e la paura degli altri, La Repubblica (2017)

Giovanni Peri, The effect of immigration on productivity: evidence from US states, Working Paper 15507, National Bureau of Economic Research (2009)

Ministero dell’Interno, Dipartimento della pubblica sicurezza

Fondazione Leone Moressa, Rapporto 2017 sull’economia dell’immigrazione (2017)

Tito Boeri, Immigrazione e crescita, Fondazione Rodolfo Benedetti, Università Bocconi (2010)

OECD/ILO, How Immigrants Contribute to Developing Countries’ Economies, International Labour Organization, Geneva/OECD Publishing, Paris (2018)

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