Quando l’economia non basta per (provare a) capire l’economia

Ormai è inevitabile l’aver riconosciuto, o se non altro notato, come lo scenario politico (italiano e non solo) non sia più descrivibile come costellato da dei partiti allineati lungo la convenzionale dimensione sinistra-destra, com’è solita provare a fare ancora oggi mia nonna, radicata nel suo tradizionale schema di lettura. L’ingresso sui palcoscenici di tutto il vecchio continente dei (grossolanamente definiti) partiti populisti, poco più che comparse nei primi atti e divenuti co-protagonisti dopo l’intervallo, è sicuramente uno dei principali responsabili di questa trasformazione (Figura 1).

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Figura 1. Percentuale alle ultime elezioni parlamentari.

Ad oggi, in letteratura[1], per cercare di classificare i vari schieramenti, si ricorre ad un sistema che ricorda quello geografico della latitudine e della longitudine (Figura 2). Il primo è il “sinistra-destra” ancora utilizzato da nonna, che si muove da ovest ad est e misura la posizione riguardo a tematiche economiche. Il secondo è il nuovo “liberalismo cosmopolitano-populismo”, che si muove da sud a nord e misura l’ideologia relativa alla dimensione culturale. Per capirsi, queste quattro etichette indicano rispettivamente:

  • Sinistra Economica: regolamentazione dei mercati, interventismo statale, redistribuzione, spesa pubblica;
  • Destra Economica: deregolamentazione, libero mercato, tagli alle tasse;
  • Populisti: valori sociali tradizionali, nazionalismo, opposizione al multiculturalismo, supporto ai valori religiosi tradizionali, opposizione all’immigrazione;
  • Liberalismo cosmopolitano: posizione opposta rispetto al precedente.

 

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Figura 2. Nuova classificazione dei partiti politici europei, Inglehart e Norris (2016).

Da questa breve introduzione, appare chiaro come la dimensione economica non faccia più da padrona nell’identificare gli scenari politici e le decisioni economiche che ne conseguono. Per contestualizzare, è meglio partire da un esempio recente: l’aumento dei dazi doganali sull’import effettuato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Riguardo al commercio internazionale, il programma del Partito Repubblicano riporta – cito testualmente – “We envision a worldwide multilateral agreement among nations committed to the principles of open markets, what has been called a “Reagan Economic Zone,” in which free trade will truly be fair trade for all concerned.”[1]. Utilizzando la sola lente economica questa decisione sembra essere in completa controtendenza rispetto al programma economico del Partito Repubblicano. Aggiungendo all’analisi l’altra dimensione sopra descritta, la manovra può essere interpretata alla luce del protezionismo, non tanto di matrice economica quanto patriottica, che caratterizza i politici di destra populista.  A tale proposito, per meglio comprendere l’andamento delle politiche economiche, potrebbe essere opportuno iniziare ad arricchire il proprio portafoglio di variabili macroeconomiche con delle misure che siano in grado di catturare questo sentimento politico. Ciò è inoltre supportato dal fatto che questi nuovi ingredienti dei manifesti partitici siano strettamente correlati con le relazioni internazionali e i giochi di potere tra stati. Estendendo l’ampiezza del discorso, è sempre più lampante come, oggigiorno, i flussi di capitali, di forza lavoro e della tecnologia risentano di una serie di fattori non puramente economici, fenomeno che, negli anni precedenti, non accadeva in maniera certo così determinante. Esattamente in quest’ottica, proponendo un indice che misura il rischio geopolitico, si stanno muovendo i due economisti italiani della Fed Matteo Iacoviello e Dario Caldara. L’indice da loro presentato nel loro ultimo paper[2] e definito Geopolitical Risk Index (GPR), viene ottenuto andando a scandagliare gli articoli di dodici tra le principali testate giornalistiche inglesi, americane e canadesi per rilevare la presenza di parole e/o frasi chiave che catturino il sentimento geopolitico dell’opinione pubblica dei paesi dove i giornali hanno sede.  Le categorie di ricerca principali sono 6: minacce geopolitiche; minacce nucleari; minacce di guerra; minacce terroristiche; atti di guerra; atti terroristici. L’indice sarà tanto più alto quanto maggiore sarà il numero di articoli contenenti le parole chiave nel campione analizzato.

È chiaro come il GPR sia in grado di catturare una serie di fattori che vanno ben oltre quelli descritti nella parte introduttiva dell’articolo (Figura 3), ma a tutti loro è estendibile il ragionamento esposto finora: il fatto che il mercato globale sia sempre più interconnesso, porta ciascuno di loro ad essere di fondamentale importanza per analizzare correttamente l’economia ed evitare errori di stima dovuti all’omissione di variabili chiave.

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Figura 3. GPR Index, Caldara e Iacoviello (2018).

C’è un’altra caratteristica di questo indice che lo rende ancora più appetibile per l’analisi macroeconomica: risente in maniera inferiore rispetto ad altri indici di fenomeni collegati al ciclo economico (Figura 4). A primo impatto, verrebbe da alzare il sopracciglio e chiedersi quindi perché il GPR possa essere così importante per comprendere la congiuntura economica. La risposta può essere data una volta che si è stabilita, con chiarezza, la direzione di causalità che si vuole andare a descrivere. Nello specifico, l’interesse di un macroeconomista è “scavare a fondo nella struttura dell’economia” per scoprire quel ventaglio di fattori che guidano i principali indicatori aggregati. Una sorta di vaso di Pandora, ad esser onesti. Fino ad oggi, questo vaso, è sempre stato ritenuto colmo di soli fattori meramente economici, salvo rare eccezioni (e.g. Indice sulle aspettative dei consumatori, VIX, ecc.) comunque difficilmente ascrivibili in una categoria differente. La creazione e l’utilizzo di un indicatore come il GPR potrebbe portare alla scoperta di un secondo vaso, di diversa natura, che abbia le seguenti caratteristiche: non contenga informazione ridondante, ovvero ci dica qualcosa che già non sappiamo; spieghi sufficientemente bene i principali indicatori economici. Da qui l’importanza della minor correlazione tra il ciclo economico e il GPR. Quest’ultimo permette di tener in considerazione una serie di fattori che, forse, nel passato non venivano ritenuti utili per spiegare l’economia, mentre oggi possono giocare un ruolo chiave per raffinare le previsioni economiche.

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Figura 4. GPR a confronto con EPU (Indicatore di incertezza politica) e VIX (indicatore di volatilità sui mercati finanziari.

In conclusione, il rischio geopolitico è stato già elevato in passato, come mostra la Figura 2, in concomitanza delle due guerre mondiali. Tuttavia, fenomeni moderni quali la globalizzazione e l’informatizzazione hanno reso l’economia mondiale inevitabilmente interconnessa, come non lo era mai stata precedentemente. In più, l’ampliamento, e l’inevitabile inquinamento, delle fonti di informazione, è andato ad incrementare sempre di più l’incertezza su stato e impatto reale delle politiche e a guidare l’elezione dei futuri policy-makers (Matejka e Tabellini (2015)[1]). Tutto ciò ha portato quindi le decisioni dei politici in ambito economico ad essere guidate anche da dei nuovi fattori, per di più non esclusivamente economici. Per districare la matassa, un tentativo di soluzione potrebbe essere dunque l’utilizzo di un set di informazioni più ampio, non sovrapposto a quello fino ad oggi ritenuto sufficiente per l’analisi macroeconomica, ma contenente misure che siano in grado di catturare il sentimento geopolitico dominante nell’opinione pubblica.

 

[1] La classificazione è quella proposta da Inglehart e Norris (2016), Trump, Brexit and the rise of Populism. https://faculty.uml.edu/sgallagher/Trump_Populism_Norris.pdf

[2] The Republican Platform, 2016, p.2, https://prod-cdn-static.gop.com/media/documents/DRAFT_12_FINAL[1]-ben_1468872234.pdf

[3] Iacoviello e Caldara (2018), Measuring Geopolitical Risk.  https://www.federalreserve.gov/econres/ifdp/files/ifdp1222.pdf

[4] Matejka e Tabellini (2017), Rationally inattentive voters. https://www.econstor.eu/bitstream/10419/130466/1/cesifo1_wp5849.pdf

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