Dopo quasi due anni di mercato al rialzo, interrotto temporaneamente da movimenti negativi in corrispondenza del voto sulla Brexit e del voto presidenziale americano, caratterizzato da una volatilità inusualmente bassa, il 2 febbraio il Dow Jones chiude la giornata con un ribasso di 666 punti, quindi un negativo 2.5%. Molto simile l’andamento dell’indice S&P 500, che mostra una caduta del 2.1%. Alla ripresa delle attività di trading il lunedì seguente, i problemi per gli investitori si riveleranno tutt’altro che finiti. Il Dow Jones perderà il 4.6%, il più grande ribasso dall’Agosto 2011, mentre l’S&P 500 chiuderà segnando un -4.1%. In tutto questo, l’indice redatto dalla Chicago Board Options Exchange che misura la volatilità presente nei mercati, il VIX (Volatility Index), tocca quota 29.06, dopo non aver mai superato quota 15 da giugno 2015.
Ma cosa è stato a causare questo crollo?
Per avere la risposta, bisogna guardare i dati relativi alla crescista annuale dei salari. Venerdì 2 febbraio infatti, i salari dei cittadini americani vengono segnalati in rialzo del 2.9% rispetto ad un anno prima. Una crescita di questa magnitudine non si vedeva dal 2009.
Questo dato ha preoccupato gli investitori in quanto una forte crescita salariale dovrebbe rafforzare l’inflazione e quindi spingere la FED ad alzare i tassi più velocemente di quanto annunciato. Questo implicherebbe un rialzo dei costi di finanziamento delle operazioni sostenuto dalle imprese, fatto che potrebbe avere effetti negativi sui profitti.
Ma, se si assume vera l’ipotesi dei mercati efficienti, questo non basterebbe a spiegare il risultato del lunedì seguente. Questo secondo crollo, infatti, non ha una causa immediatamente identificabile.
“Cosa stava guidando il mercato a gennaio? Non erano i fondamentali, per quanto essi erano e siano buoni, ma era l’eccessiva fiducia “. Così si esprime Brad McMillan, CIO per Commonwealth Financial Network ai microfoni di Bloomberg. In poche parole, gli ottimi fondamentali delle imprese e dell’economia americana hanno spinto l’ottimismo degli investitori più di quanto gli stessi fondamentali potessero giustificare.
Un altro passaggio interessante riguardo al mercato azionario in questa prima metà dell’anno è sicuramente la prima testimonianza in Congresso del nuovo Chair della Fed, Jerome Powell. Powell, infatti, il 27 Febbraio, commentando la robustezza dell’economia americana, pronuncia le seguenti parole: “We’ve seen some data that will, in my case, add some confidence to my view that inflation is moving up to target. “. Questo spinge nuovamente in rosso gli indici di borsa, anche se più moderatamente se paragonato alla performance di inizio mese, tanto che Powell si trovò costretto ad adottare toni più “dovish” nelle seguenti apparizioni di fronte ai media.
Pochi giorni dopo, gli ormai famosi dazi sull’acciaio e alluminio voluti da Donald Trump vengono annunciati.
Questo annuncio colpisce il mercato azionario in maniera decisa in quanto questa decisione aumenta in maniera esponenziale le probabilità di una guerra commerciale globale. Il Dow Jones perde più del 2%, ma perdite vengono registrate anche al di fuori degli Stati Uniti e specialmente in Europa, dove i produttori di automobili registrano le maggiori perdite.
Anche dopo l’esclusione della UE dai dazi americani, il momento negativo dei mercati non sembra essere ancora finito. E questo per due motivi.
La prima ragione è l’annuncio dell’imposizione di dazi da parte degli Stati Uniti su import provenienti dalla Cina per un valore di 50 miliardi di dollari e la conseguente reazione da parte di Pechino. In una economia fortemente globalizzata ed in cui le supply chains sono ormai totalmente delocalizzate, una guerra commerciale tra le due più grandi economie del pianeta è un prospetto terrificante per i mercati globali, che hanno infatti registrato pesanti flessioni.
La seconda ragione è lo scandalo dei dati personali che sta coinvolgendo Facebook e la società di consulenza politica Cambridge Analytica. Senza entrare nei dettagli di questa delicata vicenda, si può affermare che la caduta del titolo Facebook, causata dai prospetti di investigazioni europee ed americane nella faccenda, ha trascinato con se gli altri titoli delle cosiddette Big Tech.
Infatti, oltre a Facebook, Twitter, Netflix e Apple hanno registrato cali pesanti, così come Tesla, che nella giornata del 28 marzo ha perso l’8% dopo l’annuncio da parte della U.S. National Transportation Safety Board del lancio di una investigazione su un incidente stradale in cui il conducente del Modello X dell’azienda americana ha perso la vita.
In conclusione, si può dire che questa luna di miele della durata di quasi due anni tra i mercati e gli azionisti è giunta al termine, nonostante fondamentali solidissimi. La ritrovata volatilità’ nei mercati è comunque un sintomo di mercati funzionanti, e, con l’economia mondiale ancora in espansione per i prossimi 2 anni, non dovrebbe rappresentare un problema a cui prestare troppa attenzione.
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