Quale Unione dopo la Brexit? Intervista a Michele Valensise

Michele Valensise, già Ambasciatore d’Italia a Berlino e Segretario generale del Ministero degli Affari Esteri dal 2012 al 2016, è presidente del Centro italo-tedesco per l’eccellenza europea Villa Vigoni. Con lui abbiamo discusso i possibili scenari per l’Europa in seguito alla Brexit.

Viene ventilata in queste settimane l’ipotesi di una hard Brexit, dovuta all’impossibilità di trovare un accordo tra Ue e Gran Bretagna. Ѐ davvero possibile uno scenario simile? Chi ne uscirebbe da sconfitto e quali sarebbero le conseguenze?

Finora la linea negoziale del Regno Unito a Bruxelles è stata incerta. Esitazioni e rinvii da parte di Londra, insieme a un’impreparazione di fondo per un negoziato così complesso come quello sulla Brexit, hanno creato dubbi sulla possibilità di giungere a un’uscita ordinata dall’Ue. L’alternativa sarebbe di arrivare al 29 marzo 2019 – data ora confermata dal Primo Ministro Theresa May come scadenza insuperabile – senza un’intesa e di provocare così una “hard Brexit”. Purtroppo, a oggi, non si tratta di un’ipotesi remota. Sarebbe grave per l’Unione europea, che ha interesse a prevedere e concordare quanto più possibile il futuro assetto dei rapporti con il Regno Unito, evitando cesure radicali. Ma sarebbe ancora più pregiudizievole per i britannici che si troverebbero a dover gestire una situazione di improvviso isolamento, con  serie conseguenze negative sul piano economico e sociale, a cominciare dal commercio con il resto dell’Ue.

In un periodo di pulsioni secessioniste, crede che a seguito della Brexit possano effettivamente prodursi tensioni in Scozia ed in Irlanda del Nord?

Temo che non lo si possa escludere. Il che avrebbe potuto favorire una riflessione diversa dei cittadini britannici che si sono espressi a favore della Brexit e soprattutto da parte di quei politici che li hanno, a mio avviso in maniera miope, incoraggiati in quella direzione. Non è un caso che in particolare le implicazioni sulla delicata situazione dell’Irlanda del Nord siano oggetto delle preoccupazioni dei negoziatori di Bruxelles.

Il governo di Theresa May, complici anche i recenti scandali, è sempre più debole. Questo per l’Europa è un vantaggio? Sarebbe più facile una trattativa con un governo di colore diverso?

L’indebolimento del governo May non è di aiuto per l’Ue. Questa ha invece bisogno di una controparte negoziale britannica solida e responsabile, non esitante sulla visione di fondo o alle prese con evidenti fragilità interne e forse anche tentata da rischiosi rilanci della posta in gioco. Il governo lo scelgono i cittadini del Paese, non quelli che devono trovare un accordo con quel Paese.

Il voto sull’uscita del Regno Unito dall’Ue è stato uno shock per l’élite europea: ora che i populismi sembrano essere stati (almeno in parte) fermati, ci sono le condizioni per un proseguimento del processo d’integrazione europeo? Oppure la Brexit è stata solo l’inizio?

Il risultato del referendum nel Regno Unito del giugno 2016 e l’attivazione, nove mesi dopo, dell’art. 50 da parte del governo di Londra sono stati certamente un duro colpo per quanti credono nelle ragioni e nei meriti dell’integrazione europea. Quel voto è anche frutto di insoddisfazioni e paure che la classe dirigente europea deve capire e affrontare, non sottovalutare o ignorare. La Brexit non segnerà l’inizio della disgregazione europea, negli ultimi mesi le forze nazional-populiste hanno perso un po’ della loro capacità di raccogliere consensi sulla base di semplici slogan, tuttavia la sfida non pu  considerarsi vinta. Occorre riaffermare i valori alla base della costruzione europea, promuovere politiche che avvicinino i cittadini all’Europa nella loro vita quotidiana e spiegare meglio, senza timidezza, l’importanza della collaborazione e della solidarietà, a fronte di propositi illusori di chiusure e intolleranze.

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