Platone, nel Fedro, paragona l’anima umana ad una biga alata dove l’auriga impersonifica l’elemento razionale mentre i due cavalli quello irrazionale. L’auriga riesce tuttavia con successo a domare entrambi esercitando la metriopazia ovvero il controllo degli impulsi emotivi.
Questa similitudine evidenzia come, sin dall’antichità, l’uomo sia stato considerato un essere razionale, capace di esercitare un ferreo controllo sulle passioni e sulle reazioni impulsive.
Ne è un esempio la Teoria della scelta razionale, che affonda le sue radici nel pensiero degli economisti del XIX secolo: come suggerisce lo stesso nome, l’individuo-consumatore è inteso come un agente economico razionale che prende decisioni basandosi sul rapporto costo-utilità, soddisfacendo appieno i requisiti di transitività,completezza e monotonicità. Il fine primario di tale teoria consisteva nello stabilire i criteri secondo cui una decisione potesse essere considerata “razionale”, prescindendo completamente dalle influenze dell’emotività dei singoli individui.
Sono numerosi gli autori che si sono interrogati sulla validità della rappresentazione neoclassica dell’uomo economico in quanto: “Il comportamento umano non è sotto la costante e dettagliata influenza di attenti ed accurati calcoli edonistici, ma è il prodotto di un complesso instabile ed irrazionale di riflesso, azioni, impulsi, istinti, usi, costumi, mode e isterismi.” (Viner, 1925)
Se nel nostro cervello esistesse un “buy-botton”, una struttura cerebrale capace di condizionare la decisione di acquistare o meno un certo prodotto sulla base di un coinvolgimento emotivo? Questa possibilità è il presupposto del neuromarketing.
La nascita negli anni Settanta del ‘900 della neuroeconomia, branca dell’economia comportamentale, è da attribuirsi all’esigenza di una maggiore comprensione dei processi decisionali degli attori economici tramite le prospettive di analisi della psicologia cognitiva e delle neuroscienze. Tale necessità ha inoltre determinato il passaggio dal vecchio paradigma “Think-Feel-Act” che rapprensenta gli uomini come esseri razionali, al nuovo paradigma “Feel-Act-Think” che invece enfatizza l’importanza delle emozioni e descrive gli individui come autori di decisioni emozionali. L’approccio neuroeconomico, non rigetta il paradigma neoclassico e i concetti di efficienza, di massimizzazione dell’utilità ed equilibrio ma lo integra con alcuni meccanismi psicologici che meglio rappresentano il reale comportamento dei consumatori.
Attraverso numerosi studi ed esperimenti di psicologia cognitiva, Kahneman e Tversky, considerati i padri della neuro economia a seguito dell’elaborazione della Teoria del prospetto, dimostrarono come le scelte degli esseri umani violassero sistematicamente i principi della razionalità economica e isolarono alcuni aspetti ricorrenti come:
• il framing: il contesto in cui l’individuo si trova a operare la scelta e le modalità attraverso cui un problema viene formulato hanno un effetto determinante sulla scelta stessa;
• la loss aversion: evitare una perdita è considerato preferibile a realizzare un guadagno.
Queste ricerche sono state rese possibili grazie ai contemporanei progressi delle neuroscienze cognitive che hanno esteso l’indagine diretta sul cervello umano attraverso modalità di analisi non invasive (brain imaging), come la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (FMRI). Attraverso tali studi, è stato possibile ottenere una misurazione diretta di ciò che avviene nel sistema nervoso centrale, osservando nel dettaglio le aree cerebrali che si attivano durante l’esecuzione di un determinato compito. I neuroscienziati hanno in seguito suddiviso il cervello in regioni differenziabili in base allo sviluppo evolutivo e alle rispettive funzionalità e fisiologie: il “cervello rettile” gestisce le funzioni che riguardano la sopravvivenza dell’uomo; il “cervello mammifero” è invece responsabile delle emozioni sociali ed infine il “cervello ominide” gestisce la coscienza, il linguaggio e la capacità di ragionare. L’esistenza dei processi automatici, insieme alla scoperta del cervello rettile e mammifero, dimostrano la complessità del processo decisionale dal momento che spesso l’uomo non solo non ha la percezione di aver deciso una certa cosa ma non conosce neppure le ragioni di tale scelta.
Tutto ciò comporta una riformulazione delle basi di studio sul comportamento degli agenti economici. Le informazioni su cui il marketing deve porre attenzione oggi sono quelle contenute nella mente del consumatore, da cui emergono i suoi desideri e le sue emozioni in relazione a un prodotto, per poter identificare i suoi reali bisogni e, di conseguenza, soddisfarli. Osservare la realtà e le sue evoluzioni nel contesto attuale si rivela dunque indispensabile per poter sviluppare strategie di marketing e di comunicazione vincenti.
Lo studio più famoso nell’ambito della ricerca sull’attività cerebrale associata alla visione di spot pubblicitari è quello condotto nel 2003 da Red Montague che ha analizzato e studiato le risposte neuronali associate con le preferenze di due noti brand: Pepsi Cola e Coca Cola. I ricercatori esaminarono due situazioni: un primo test prevedeva la degustazione delle bevande in modo anonimo (blind test), nell’altro test invece i soggetti degustavano le bevande e venivano informati del brand di un solo campione. Fu osservato che quando i brand non venivano comunicati ai soggetti (e dunque erano unicamente le informazioni sensoriali a guidare gli individui nella scelta della bevanda migliore) si registrava un’attività nell’area cerebrale che coinvolge la corteccia prefrontale e le preferenze si distribuivano in modo equivalente tra Coca Cola e Pepsi. Al contrario, quando invece venivano comunicati ai soggetti i brand delle bevande, le loro dichiarazioni di preferenza erano a favore del campione Coca Cola e parallelamente, le aree cerebrali attivate durante la degustazione consapevole erano l’ippocampo e la corteccia prefrontale dorsolaterale, strutture coinvolte nei cambiamenti comportamentali che regolano i processi di memorizzazione. La ricerca condotta da Montague, dimostra che l’informazione culturale relativa al brand, influisce notevolmente sulle decisioni dei soggetti che, a loro volta, possiedono forti preferenze soggettive.
Lo shopping, oggi, non è più un’attività fine a se stessa, ma è una componente che rientra nella valutazione complessiva dell’esperienza riguardo a un determinato brand o prodotto. Da queste evidenze si comprende quindi che l’esperienza assume un ruolo di primaria importanza nelle strategie di marketing in quanto rappresenta il momento più elevato di connessione tra gli stimoli provenienti dal mondo esterno e l’interiorità del soggetto, costituita dalla componente soggettiva della memoria e dei ricordi. È in questa cruciale situazione che il marketing deve intervenire per ottenere il coinvolgimento emozionale dei singoli individui. Prima ancora che nelle case dei consumatori, i prodotti devono entrare nelle loro teste.
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