Questa nave ci può spiegare il crollo del prezzo del petrolio

Salpato da Corpus Christi, Texas, il 31 dicembre, il cargo “Theo T” è approdato Mercoledì a Fes Sur Mer, nei pressi di Marsiglia. Non si tratta di una nave qualunque, il suo carico è infatti molto speciale. Negli ultimi 40 anni non una sola goccia di petrolio statunitense aveva mai lasciato il paese. Il motivo è semplice: un divieto, istituito nel pieno della crisi petrolifera del 1975, impediva le esportazioni di greggio. Dopo anni di lobbying da parte dei produttori di petrolio il congresso ha cancellato il bando lo scorso 16 Dicembre, aprendo così all’esportazione di greggio made in USA.

Nello stesso giorno in cui la Theo T approda in Francia i mercati finanziari registrano prezzi del petrolio sotto $27 per la prima volta dal 2003, recuperando poi solo parte del terreno perso nei giorni successivi. Addirittura arriva la notizia dal Nord Dakota secondo cui alcuni barili di petrolio sono stati venduti a prezzi negativi, il che significa che i produttori hanno pagato i raffinatori per portarsi via il loro greggio. Si tratta di petrolio di bassa qualità, ma che fino ad alcuni mesi fa veniva venduto per $80.

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In North Dakota i produttori pagano 50 cents per ogni barile di petrolio che vendono

Che cosa hanno a che fare questi prezzi con la Theo T? Molto.

Il crollo del prezzo del petrolio da oltre $100 nell’Aprile 2014 al minimo intra-day registrato Mercoledì di $26.19, non è altro che una semplice storia di domanda e offerta.

A partire dal 2005 la produzione americana di petrolio ha incominciato a incrementare considerevolmente, per poi prendere il volo dal 2011 ad oggi. Il motivo è l’introduzione di una rivoluzionaria tecnica di estrazione dai frammenti di roccia denominata Shale Oil, che ha permesso agli Stati Uniti di raddoppiare la produzione in 10 anni e superare l’Arabia Saudita come primo produttore mondiale.

La maggiore indipendenza energetica raggiunta dagli USA può essere una delle migliori chiave di lettura per capire la debolezza con cui l’amministrazione Obama sta affrontando la situazione in Medio Oriente. A frenare il governo dall’azione forse non è solo la paura dei fantasmi di Iraq e Afghanistan, ma anche laminore dipendenza degli Stati Uniti dalla stabilità politica della regione rispetto al passato.

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In North Dakota i produttori pagano 50 cents per ogni barile di petrolio che vendono

 

La continuazione di questa storia è un susseguirsi di eventi che vedono come protagonista l’Arabia Saudita, che, di fronte alla continua perdita di fette di mercato a favore dei nuovi produttori, convince nel 2014 l’OPEC, il cartello dei paesi esportatori di petrolio, ad aumentare la produzione per far crollare ulteriormente il prezzo del barile e tagliare fuori dal mercato i produttori meno efficienti. L’obiettivo principale è eliminare gli estrattori statunitensi.

Tra il 2014 e il 2015 la produzione mondiale aumenta di 2.9 milioni di barili giornalieri. La crescita economica mondiale resta debole e così anche la domanda di petrolio che da essa dipende. Come conseguenza il prezzo inizia a calare, sfondando quota $50 a inizio 2015.

Sfortunatamente per i sauditi la produzione USA si dimostra molto più resiliente del previsto e i produttori scoprono di poter abbassare i costi di produzione e rimanere sul mercato.

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La timeline del crollo del prezzo del greggio (crude oil)

Tra la fine del 2015 e Gennaio 2016 due nuovi scossoni fanno precipitare ancora il prezzo del petrolio che da $60 scende fino a $27.

Il primo è il rallentamento dell’economia cinese e le tensioni finanziarie che ne sono conseguite. La Cina è infatti il primo paese per import di petrolio, e il rallentamento della sua industria ha provocato un calo della domanda di materie prime a cui è seguito un brusco crollo del prezzo del petrolio e di tutte le maggioricommodities.

Il secondo scossone, che arriva in questa situazione già caratterizzata da un cronico eccesso di offerta, è la decisione presa il 16 Gennaio dalle Nazioni Unite di eliminare gran parte delle sanzioni imposte all’Iran, grazie ai progressi ottenuti in seguito al ‘Nuclear Deal’ di Obama. La leadership iraniana ha annunciato che senza le sanzioni sarà in grado di incrementare l’export di greggio di 500mila barili giornalieri entro 6 mesi.

Come ultimo tassello di questo puzzle si inseriscono le recenti tensioni tra Iran e Arabia, che in una situazione normale avrebbero fatto schizzare il prezzo del barile, ma che hanno avuto invece l’effetto opposto. Infatti la sospensione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi fa presagire che difficilmente vi sarà in tempi brevi un accordo tra i membri dell’OPEC per ridurre la produzione e far risalire il prezzo.

Intanto il crollo del greggio sta incominciando a mietere vittime tra le compagnie petrolifere e a metteresotto pressione i governi di molti paesi esportatori, che hanno visto le proprie entrate ridursi drasticamente.Dall’Oman al Venezuela sono ormai tante le proposte per un’inversione di tendenza nella politica dell’OPEC, e chissà che presto o tardi queste voci vengano accolte.

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