La strategia di Putin

30 settembre 2015.

Questa data potrà a molti ricordare solo l’inizio delle lezioni universitarie, del ritorno dalle ultime ferie settembrine o magari commemorazioni personali di altra natura.

In questo giorno, tuttavia, un nuovo attore compare nella guerra civile siriana: è la Russia di Putin, che assume un ruolo di primo piano in questo conflitto che dura dal marzo 2011, anno in cui le manifestazioni di piazza della popolazione siriana contro il governo del primo ministro Baššār al-Assad, sulla scia della Primavera Araba, sono sfociate in una vera e propria rivoluzione partita da Dar’a e arrivata ben presto ad Aleppo e Damasco, le principali città della Siria.

Evitando l’excursus di natura politica e sociale sulle cause di questi avvenimenti, già ben analizzati e raccontati da più autorevoli testate, quello che cercherò di sintetizzare in questo articolo è la natura economica e strategica dell’intervento militare russo nel conflitto, per di più nella posizione non di alleato statunitense o dei ribelli siriani (coalizzatisi nell’Esercito Siriano Libero e supportati appunto da Stati Uniti, Regno Unito e Francia), ma della Repubblica Araba di Siria, nome formale della Siria guidata dal sopracitato Baššār al-Assad, supportato anche da Iran e Iraq; in questa scacchiera si deve poi aggiungere un altro attore di gran peso nella situazione: lo Stato Islamico dell’Iraq e Levante (ISIS, o ISIL o IS che dir si voglia), nato in Iraq come uno dei vari gruppi di guerriglieri al tempo degli interventi americani in Medio Oriente post 11 settembre ed oggi divenuto il più grande gruppo religioso e militare della zona, tanto da aver occupato grandi porzioni di territorio degli stati iracheno e siriano, dove peraltro ha stabilito la sua capitale de facto: Raqqa.

Questo quadro raggruppa inoltre in qualità di sostenitori diretti o indiretti dell’una o dell’altra parte tutti i principali Paesi mediorientali ed arabo-islamici in generale, in un conflitto non ancora internazionalizzato ma tuttavia di portata non più limitata al solo Medio Oriente, come dimostrano gli ultimi avvenimenti della scorsa settimana a Parigi.

In questo gioco di alleanze, l’intervento diretto russo nel conflitto (presente in qualità di fornitore tecnologico-militare di Assad fin dall’inizio della rivoluzione) ha giocoforza spostato gli equilibri: formalmente l’aggressione russa era diretta esclusivamente contro le milizie islamiche ed alcuni obiettivi sensibili dell’ISIS, ma fonti dell’Esercito siriano libero hanno dichiarato che alcuni dei bersagli colpiti dai raid aerei russi erano dei ribelli siriani.

Insomma, Putin dirige i suoi attacchi contro  le milizie dell’ISIS e nel frattempo colpisce anche i ribelli siriani che si schierano contro il suo alleato Baššār al-Assad; si potrebbe dire che, parlando in una logica di mantenimento delle alleanze, questa sia la cosa più normale da fare. Tuttavia, il suo alleato Baššār al-Assad è contestato non solo dalla popolazione dello stato su cui governa e di cui rischia costantemente da quattro anni a questa parte di perdere il controllo – dato che non si può dire che lo abbia già perso, visti i continui tentativi della comunità internazionale di risolvere questo conflitto in modo da ottenere un nuovo alleato per l’una o per l’altra parte in una zona di passaggio della maggior parte delle risorse economiche mediorientali – ma anche da buona parte delle maggiori potenze, in particolare Stati Uniti e comunità europea. A cosa è dovuto lo schieramento russo a favore del regime siriano?

La Siria, sin dalla proclamazione di indipendenza nel 1946 in seguito alla fine della Seconda Guerra Mondiale, è uno snodo cruciale dei traffici commerciali dell’area mediorientale: sebbene sostanzialmente privo di importanti risorse economiche, la sua posizione strategica di sbocco sul Mediterraneo gli conferisce lo status di Paese chiave negli equilibri monetari della zona. Per tutta la durata della Guerra Fredda, la Siria fu il solo interlocutore dei sovietici in una parte del mondo economicamente e politicamente influenzata quasi esclusivamente da Stati Uniti, Regno Unito e Francia grazie ai vari mandati amministrativi imposti dall’ONU con la fine del colonialismo europeo.

Questa situazione non poté che portare a tre risultati: l’iniziale isolamento dello stato siriano nel panorama mediorientale, la conseguente dipendenza, in particolare economica, della Siria dalla Russia e da questa la massiccia presenza politica e militare russa in Siria.

Nonostante la situazione politica siriana durante tutto il periodo della Guerra Fredda non fosse che un susseguirsi di colpi di stato e dittature militari e religiose, la costante che legava tutti questi regimi era l’appoggio incondizionato russo (alcune stime dicono che nei cinquant’anni di Guerra Fredda i russi abbiano fatto arrivare in Siria, tra prestiti ed investimenti, circa 264 miliardi di USD): da questa alleanza i russi avevano tutto da guadagnare, infatti in territorio siriano si trova l’unica base navale russa nel Mediterraneo (nella città di Tartus, che dallo scoppio della guerra civile siriana ha visto aumentare le dimensioni della flotta russa qui presente di anno in anno), elemento di vitale importanza nelle politiche strategiche russe, in quanto permette loro di esercitare una costante pressione in una zona controllata esclusivamente dalle forze NATO.

Con il perdurare del conflitto, l’avanzata dell’ISIS, l’attenuarsi della presa politica di Assad ed il conseguente aumento di peso delle forze ribelli (supportate dalle potenze occidentali) hanno reso l’intervento diretto russo nel conflitto una mossa quasi obbligata per cercare di non far affondare l’unico alleato di peso rimasto nell’area a Putin, rafforzando la sua posizione con questo braccio di ferro non solo con l’ISIS, ma anche con gli stessi Stati Uniti, che dovranno ora cercare un modo per puntellare le posizioni dei ribelli nello scontro politico con Assad, che sembra sempre più rivolto in favore di quest’ultimo (dato anche l’intervento via terra dell’esercito iraniano).

Spostiamoci avanti di qualche mese, circa due per la precisione.

Il 13 novembre 2015, data trascorsa solo da poche settimane ma che ormai per la maggior parte del mondo è già entrata nella storia al pari dell’11 settembre e di molte altre date, una serie di attentati stravolge la città di Parigi; 137 morti, tra civili ed attentatori, e più di 300 feriti.

Prontamente, lo Stato Islamico rivendica l’ideazione e l’attuazione delle stragi; entriamo in una nuova fase della lotta all’IS e nel conflitto siriano in generale.

Gli eventi delle ultime settimane, di cui gli attentati di Parigi sono solo una parte di una lunga serie (altrettanto importanti per gli sviluppi mediorientali sono stati l’abbattimento dell’aereo di linea russo nel Sinai, le elezioni turche del 1° novembre, l’abbattimento del jet russo sul confine turco e, ultimo ma non meno importante, la decisione di alcuni Paesi europei, tra cui Francia, Germania e Regno Unito, di entrare direttamente nella lotta all’ISIS coinvolgendo le loro forze militari nel conflitto), hanno fatto sì che il presidente Putin attuasse una sorta di “retromarcia” sulle sue convinzioni riguardo la guerra civile siriana, la lotta all’IS e su Assad in particolare.

Con gli sviluppi dovuti all’attentato francese e al coinvolgimento dei Paesi europei, si sta cercando di creare un fronte unico contro l’IS, a cui precederà necessariamente la stabilizzazione della situazione siriana: per questo motivo il 14 novembre a Vienna si sono riuniti i maggiori attori di questo conflitto per discutere sulla possibilità di un cessate il fuoco e di una pace in Siria che possa condurre il Paese verso un nuovo corso, sociale oltre che politico, sotto l’egida dell’ONU, in modo da isolare ancora di più lo Stato Islamico nel contesto mediorientale.

Da queste decisioni non sarebbe però stato possibile tenere fuori la Russia, ormai anch’essa un attore di primo piano nel conflitto siriano, ma l’appoggio incontrastato al seppur ormai decaduto Assad e le varie azioni contro le forze ribelli precludevano la possibilità della partecipazione russa ai negoziati di Vienna. La ritrattazione di queste convinzioni era la conditio sine qua non Hollande avrebbe accettato l’entrata russa nel consesso viennese, motivo per cui il presidente francese è volato a Mosca negli scorsi giorni, arrivando infine ad un accordo per cui il presidente Putin smetterà di effettuare attacchi contro le forze ribelli (seppur formalmente ancora appoggiando Assad, anche se ormai tutti gli analisti russi sono concordi nel considerare l’attuale presidente siriano una personalità ormai decaduta e impossibilitata a riottenere il potere nel suo Paese). Inoltre, Putin parteciperà pienamente nel fronte anti IS, cercando in questo modo, senza schierarsi più apertamente al fianco di Baššār al-Assad, di mantenere i privilegi che detengono nello stato siriano e, perché no, di aumentare la propria influenza in Medio Oriente con un ruolo di primo piano nell’abbattimento dello Stato Islamico.

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