Lukaschenko, chi è costui?

“Lukaschenko? Ma chi è questo?”

Siamo negli studi televisivi di RaiTre nella cornice del programma Ballarò. A parlare è Ignazio La Russa, all’epoca ministro del governo Berlusconi quater, che viene ripreso mentre con un collaboratore alle sue spalle si informa sul dittatore bielorusso, appena citato da Pieferdinando Casini.

Un fiume di risate in studio, anche se da ridere non c’era proprio nulla.

Non contento della figura da cioccolataio, qualche settimana dopo, lo stesso La Russa, ancora ospite da Floris, in un deprimente siparietto in cui Crozza gli chiede se si fosse documentato su quell’uomo, mostra, sorridente, una foto di Lukaschenko agli astanti che non trattengono risate e battute.

Così un paio di milioni di italiani sono venuti a conoscenza di questo personaggio.

Una manciata di giorni fa in Bielorussia si sono tenute le elezioni per il rinnovo del Parlamento e della Presidenza del Consiglio. Ebbene Lukaschenko, da vent’uno anni leader indiscusso del paese, ha conquistato la presidenza con l’83,49% dei voti, secondo i dati diffusi dalla commissione elettorale centrale.

Le opposizioni, divise su tre candidati, pur avendo denunciato brogli di ogni tipo, si sono dovute accontentare di risultati magrissimi. Appena il 4,42% per Tatiana Korotkevich, attivista del movimento di opposizione ‘Di’ la verita”, il 3.32% per il leader del partito liberal-democratico Serghie Gaidukevich, e l’1,67% per Nikolai Ulakhovich, capo del partito patriottico.

Nel 2010 l’attuale premier bielorusso aveva vinto con il 79,65%. Numeri bulgari che a noi, abituati a percentuali di consenso di chi è al potere sensibilmente più basse, possono sembrare assolutamente fuori scala. Quanta sicurezza abbiamo che effettivamente la “democratica” Bielorussia sia così legata alla figura di Lukaschenko da garantirgli mandati così forti? I dubbi, quando si leggono queste percentuali che fanno somigliare le elezioni a plebisciti ottocenteschi, sono non solo legittimi ma d’obbligo.

E i dubbi permettono non solo di farsi le domande giuste ma anche di trovare le risposte giuste. In parole povere Lukaschenko, per inciso amico personale di Berlusconi, è un “dittatore dolce” così come è stato definito dal nuovo premio Nobel per la letteratura, la bielorussa Svetlana Alexievich, da anni mantenuto al potere anche grazie alla sua amicizia con il governo di Mosca, incrinata solo recentissimamente per questioni personali tra il leader bielorusso e Vladimir Putin. E nonostante i tentativi di dialogo abbozzati con l’EU durante la crisi ucraina i rapporti con Bruxelles rimangono freddissimi.

Nonostante la Bielorussia sia un paese sostanzialmente povero ed arretrato, l’economia è piuttosto stabile e il popolo bielorusso ha sempre voluto stabilità. Perché rischiare una rivoluzione come quella dell’Ucraina, che ha destabilizzato del tutto il paese e portato la guerra sul proprio territorio quando si può rimanere in stato di pace? Perché abbattere un regime pur autoritario e ben poco democratico per fare un salto nel vuoto con un nuovo governo?

Pavel Veshtort, il direttore di un think tank bielorusso, ha efficacemente espresso il punto in un articolo comparso sul Financial Times: per i bielorussi l’alternativa è semplice, tenere al suo posto Lukaschenko senza dare grossi problemi oppure far entrare nel proprio paese le truppe di Putin. Per evitare di diventare una nuova Ucraina, i bielorussi pagheranno sempre il prezzo, come sottolineato da uno studio di un analista di Minsk, Siarhei Bohdan, in un articolo sul The Guardian, del fatto che non esistono condizioni per una rivoluzione: <even before the conflict broke out in eastern Ukraine, 78% of respondents told the Independent Institute for Socio-Economic and Political Research that a better future was “not worth people’s blood”. Seventy percent said they did not want a Ukrainian-style revolution.”>

Nonostante possa godersi il quinto successo consecutivo, la strada di Lukaschenko appare comunque in salita. Con ogni probabilità il 2015 si chiuderà con una recessione per il paese, e se quest’ultimo non riceverà aiuti economici (possibili solo avvicinandosi all’Europa e all’FMI) la crisi potrebbe mordere gli strati popolari della società, che a questo punto non sarebbero più disposti a sostenere il premier, scatenando un rapido effetto domino sul suo predominio.

Per un vero governo democratico della Bielorussia forse, e sottolineo forse, non dovremo aspettare ancora molto.

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