Legalizzazione della cannabis. Libertà individuale e benefici netti

A man holds a poster while taking part in a march celebrating cannabis culture Saturday, May 7 2011, in Lisbon. The event was part of the worldwide Global Marijuana March rally held annualy in hundreds of cities. (AP Photo/Armando Franca)

“Il problema non è più dichiararsi favorevole o contrario alla legalizzazione, piuttosto è regolare un mercato che è già libero”. Con questo presupposto, un gruppo di sessanta parlamentari, guidati dal sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, è pronto a presentare una legge per la legalizzazione della cannabis.

I motivi per cui essere a favore della legalizzazione sono tanti e di diversa natura. Innanzitutto, con la legalizzazione, si rigetta implicitamente l’idea di uno Stato paternalistico che, facendo sempre più irruzione nelle vite degli individui, pretende di decidere cosa sia bene e cosa sia male. Se la limitazione della libertà del singolo trova giustificazione solo nel momento in cui va tutelata la libertà altrui, proibire l’uso della cannabis non rientra fra i compiti dello Stato.

Se accettiamo l’idea che, attraverso la legge, lo Stato possa prescrivere cosa sia giusto e cosasbagliato, ci avviciniamo sempre più ad un modello di Stato religioso/etico e non sul diritto. La legge ha dei limiti – anche impliciti – oltre i quali non può spingersi.

Definire l’uso della cannabis moralmente sbagliato – e quindi vietarlo equivale a definire l’uso del burqa moralmente corretto – e quindi imporlo.

Sarebbe forse il caso di iniziare a porre, alla base del diritto, non più istanze moraliste ma la difesa delle libertà individuali, presupposto e condizione per esprimere ogni altro valore. Il bene e il maleintesi in senso assolutistico sono concetti religiosi. Lo Stato ha il solo compito di far sì che l’individuo sia messo nelle condizioni perché lui stesso possa scegliere cosa sia bene o male per lui, impedendo quindi che questa libertà gli venga sottratta da altri soggetti. 

Proibire l’uso di droghe è sicuramente facile e solleva anche le coscienze di molti falsi moralisti che, un po’ per ignoranza, un po’ per ingenuità vedono un collegamento diretto fra legalizzazione e aumento della criminalità, come se oggi il mondo malavitoso e quello della droga fossero due realtà separate.

Un’altra questione spesso presentata contro la legalizzazione riguarda i costi sanitari, che andrebbero, in via ipotetica, ad aumentare.
Oggi, non essendoci alcun tipo di tassazione, la criminalità guadagna e lo Stato paga le cure. Tassando l’uso della droga – sempre facendo riferimento alle droghe leggere -, i costi sanitari potrebbero invece essere non solo ammortizzati ma, anzi, largamente compensati.
Lo Stato dovrebbe naturalmente continuare a farsi carico delle spese per la cura e la disintossicazione senza che queste prestazioni vengano messe in dubbio da coloro che ritengono l’uso della droga una colpa da punire piuttosto che – nei casi estremi – un male da curare.
Se è dunque l’abuso ad avere ricadute sanitarie, lo Stato dovrebbe farsene carico esattamente come per coloro che fanno indigestione di succhi di frutta (nota autobiografica). L’abuso di succhi di frutta è giusto e quello di cannabis è sbagliato?

Lasciando da parte le questioni di ordine ideologico/morale, la necessità di legalizzare la cannabis nasce dalla presa d’atto del fallimento delle politiche proibizioniste e dei benefici netti che la legalizzazione porterebbe in ambito economico e non. Legalizzare non significa incentivare il consumo di droghe, ma significa riconoscere un problema reale mai razionalmente né efficacemente affrontato: non si tratta di creare un nuovo mercato ma di regolarne uno già esistente.

Nonostante le politiche repressive, la droga è infatti tutt’oggi una della merci più facilmente reperibili al mondo, sia di giorno che di notte. Attorno ad essa si sviluppa il giro d’affari più florido del mondo: 400 miliardi annui. In Italia, come si sa, l’economia della droga è totalmente in mano alle mafie. Il che non si traduce semplicemente in non-guadagni per lo Stato, ma soprattutto in ben altri danni: le mafie, facendo aumentare i costi delle droghe, inducono coloro che hanno dipendenza ma non disponibilità economica a rubare. Inoltre, non essendoci alcun tipo di controllo sulle qualità e composizione delle sostanze vendute, queste vengono spesso mischiate con plastica, cera per scarpe, grassi animali, pezzi di vetro e ammoniaca. Ciò aumenta i guadagni delle mafie e mina pericolosamente la salute dei consumatori – facendo aumentare quindi i costi sanitari. Molte delle morti legate all’uso delle droghe sono causate proprio da queste sostanze letali usate per i tagli. Sarebbe beffardo e ingenuo, o forse solo cattivo, pensare che se lo sono meritato. Senza contare che sí potrebbe fare lo stesso discorso per altre dipendenze, legali ma non meno dannose, come il fumo e il gioco. 

Più che dare giudizi morali sui comportamenti altrui si dovrebbero indirizzare gli sforzi nel cercare la soluzione più idonea a regolare questa realtà che, secondo la rivista medica “The Lancet”, è meno dannosa per la salute rispetto al tabacco e all’alcool.

Spostando l’attenzione sull’aspetto prettamente economico, il professor Marco Rossi dell’Università La Sapienza ha stimato che la legalizzazione potrebbe portare fino a 5 miliardi di entrate dirette e fino a 2 miliardi di entrate indirette, l’anno, nelle casse dello Stato. Si andrebbero inoltre a creare tra i venticinquemila  e i trentamila posti di lavoro e si andrebbe, non da ultimo, a ridurre i costi legati alle attività di contrasto, quantificabili in circa 2 miliardi l’anno. Tutto ciò compenserebbe largamente i costi di regolamentazione del mercato e l’ipotetico aumento dei costi sanitari.

Confidiamo che questo progetto di legge rappresenti, dopo svariati tentativi falliti, la volta buona per cambiare pagina e affrontare in modo più efficace ed efficiente la gestione della prima economia mondiale.

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